Progetto Famiglia Network augur a tutti un felice e sereno Natale
lunedì 23 dicembre 2013
lunedì 2 dicembre 2013
Ricordi (vissuti) dei pranzi di Natale di un tempo
Tra Ieri e Oggi - Ricordi (vissuti) dei pranzi di Natale di un tempo
Cosa si mangiava alle feste? Alcuni racconti riportati dei nonni, ci riportano indietro negli anni quando a Natale la magia del cenone era davvero speciale.
LA CENA DELLA VIGILIA DI NATALE
Brr … Che freddo! Siamo ben oltre la metà di dicembre. Natale è
vicino. Come i miei mi hanno insegnato da bambina,bisogna
incominciare a preparare per la Vigilia di Natale. Sì, la Vigilia di
Natale,no il cenone,ma proprio la vigilia. La sera prima di andare in
Chiesa a pregare per la venuta di Dio in terra dopo una intera
giornata di digiuno. Gli uomini di casa mettono al fuoco il tecchio
(il pezzo di tronco più grosso preparato proprio per l’occorrenza)
ed accudiscono il focolare che rimarrà acceso per tutta la notte. Le
donne ed i bambini preparano il pranzo. Al calar del sole tutti
rincasano e per le sei , sei e mezza la tavola è bella ed imbandita.
Incominciano le portate. Povere sì, ma quanto buone e gustose.
M E N U:
- Pasta (linguine) aglio – olio – peperoncino ed alici fritte
- Fagioli bianchi conditi con olio nuovo (crudo)
- Baccalà
- Stoccafisso con sugo e pizza scima (massa non lievitata impastata
con vino bianco,olio e sale)
- Verza bianca con fagioli borlotti e sarde fritte (foije – fasciule e
sardell fritte)
- Pesce fritto (alici e merluzzetti)
- Borragine fritte in pastella (acqua – farina e sale)
- Peperoni secchi fritti (interi)
- Cavolfiori fritti (lessati e bagnati in pastella)
- Crespelle
- Calcionetti e castagne
- Vino rosso cotto
Appena le undici di sera dopo la prima suonata di campane
(normalmente coincidente con la fine dell’allegra mangiata della
vigilia) in famiglia,ben coperti ed incappucciati,a piedi,ci si recava in
Chiesa per la Messa di mezzanotte.
Evelina De Francesco
IL PRANZO DI NATALE
La messa di mezzogiorno è finita. All’uscita tra amici e conoscenti in fretta noi donne ci scambiamo gli auguri di Natale e di corsa torniamo a casa. Il fuoco è acceso già dalla notte precedente e le pietanze preparate il giorno prima sono tutte pronte nelle varie pentole e tegami per finire la cottura ed essere poi gustate. All’una (ore tredici) quando tutti ragazzi ed adulti siamo a casa e tutto è pronto e fumante ci si siede a tavola ed incominciano le portate. Ma scusate c’è sul tavolo un piatto capovolto. E’ il piatto del capofamiglia. Sorpresa. Sollevando il piatto c’è una busta. E’ del più piccolo della famiglia. Viene letta ,è la lettera di Natale. Alla fine applauso e regalo.Be, è ora di pranzo. Via, si comincia.
Antipasto
- antipasto alla ripese: prosciutto,formaggio,lonza,sottaceti preparati in casa,olive.
Primi
- brodo di gallina con: cardo, polpettine di carne e polpettine di uova e formaggio (cacio e uova).
- rustico di cardo con: cardo,uova,parmigiano,polpettine di carne il tutto cotto al forno.
- pasta all’uovo alla chitarra al sugo di pomodoro con carne mista.
Carne
- Bistecche di maiale casereccio.
- Tacchino allevato in casa proprio per l’occorrenza.
- Pollo
Il tutto ben rosolato e cucinato al forno a legna accompagnato da pane sempre fatto in casa ed irrorato
da buon vino cotto.
Contorni e frutta
Insalata e patate al forno con frutta secca
Dolci
Non poteva mancare il dolce: piatti decorati con dentro un bel pezzo di torta (“La pizza doce” – pizza
ripiena a strati di crema bianca e crema al cioccolato) – calcionetti ripieni di marmellata d’uva e con
pasta di ceci al mostocotto e caffè.
Adina Angelucci
IL NATALE DI QUANDO ERO BAMBINA
Tanti anni fa il Natale era una festività molto sentita nelle famiglie specialmente per quanto riguarda il mangiare perché era quasi l’unico giorno in cui si mangiava in gran quantità.
Oggi non si avverte più tanto proprio perché si mangia sempre più di quanto necessario.
La Vigilia di Natale la mamma non preparava il pranzo, ma ci faceva mangiare la pizza bianca con la alici. La sera però si incominciava a cenare presto ed abbondantemente insieme ai nonni,gli zii e gli amici anche se la mia era una famiglia già numerosa: otto figli più uno che era figlio di mia zia (stava sempre con noi come se fosse un altro fratello). La cena era composta abitualmente dalla pasta con il tonno, la verdura con i fagioli, il baccalà al sugo, il baccalà fritto con la pastella, il capitone, le castagne lesse ed infine crespelle e calcioni fritti ripieni di marmellata d’uva. Dopo cena si giocava a tombola fino alle 23 ora in cui si andava tutti in Chiesa. Al ritorno si metteva la calza appesa al camino e l’indomani si trovava piena di mandarini,fichi secchi e qualche caramella. Un anno mio padre, siccome era falegname, riportò la segatura e scherzosamente la mise nella calza di mia sorella. L’indomani mia sorella trovò la segatura nella calza , accettò lo scherzo, ma ci rimase male perché non le toccarono mandarini e fichi. Per il giorno di Natale si uccideva il tacchino che,per pulirlo non si bagnava all’acqua bollente come si usa oggi,ma si legava il collo,si gonfiava con una cannuccia e si spiumava a freddo. Il pranzo di Natale era abbondante, si cominciava con l’antipasto tradizionale e si proseguiva con il brodo con il cardone,il lesso di tacchino,pasta alla chitarra con il ragù,il tacchino al forno e le costine di agnello impanate e fritte. Infine la frutta, le crespelle ed i calcioni. Alla fine del pranzo noi figli dovevamo ripetere la poesia natalizia in piedi sulla sedia con un premio di 50 lire.
Caterina Ianni
giovedì 21 novembre 2013
Dialogo tra una nonna Perfetta ed una Imperfetta.
Una nonna IMperfetta
Dialogo immaginato ma reale tra una nonna Perfetta ed una Imperfetta.
P I nipoti ti ridanno la giovinezza
IM Col cavolo, i nipoti si prendono quel poco di giovinezza che ti è rimasta. E non sapevi ancora cosa fossero i dolori articolari, dopo qualche settimana di sollevamento/abbassamento di questo affascinante esserino di 10/12 chili lo scopri. E non è un bel scoprire!!
P Ai nipoti si vuole più bene che ai figli
IM Ma chi lo dice? Ma per quale motivo? Ma scusate non si era detto che l'amore non si misura ma si distribuisce in parti uguali? E' vero, i nipoti sono piccoli cuccioli e come tutti i cuccioli attirano tutte le nostre attenzioni, la nostra tenerezza, il nostro amore. Però i nostri figli rimangono i nostri figli..... scusate! Li ricordiamo perfettamente quando erano piccoli anche loro e al mare gli si contavano le costoline tanto erano magri, li ricordiamo combattere per un buon voto o per un esame, li ricordiamo quando erano diventati così bravi a fare la firma del papà da non avere bisogno di giustificazioni per la scuola! E poi li abbiamo ancora sott'occhio con i loro problemi, le loro felicità che sono anche nostri.
P I miei nipoti sono così avanti rispetto a noi!
IM Bella forza, sono nati 60 anni dopo! Avevamo forse noi le stesse possibilità, le stesse disponibilità che hanno loro? Non è che a pensarci bene eravamo “avanti” anche noi che pure non avevamo giocattoli, non avevamo televisione, non avevamo computer e non avevamo adulti a nostra disposizione h24?
P I miei nipoti sono molto educati
IM I miei sono abbastanza educati, o meglio i miei sono bambini! E come tutti i bambini (esagero a dire “tutti”?) ridono se sentono parolacce (che naturalmente in futuro ripeteranno) trovano esaltanti rutti e … altro, a volte alzano le mani. Ovvio che anche la nonna IMperfetta si dà un gran daffare per far capire ai suoi nipoti che tutto ciò è orribile ma a volte i risultati sono scarsi.
P I miei nipoti non sono affatto aggressivi però sanno difendersi.
IM E quindi? E quindi alzano le mani esattamente come i nipoti delle nonne IMperfette. Figuratevi che mio nipote a due anni addirittura mordeva... E poi cosa vuol dire “sanno difendersi”? Che sono autorizzati ad usare l'aggressività che è in loro solo in alcuni casi? Tipo la guerra per portare la pace?
P Tutti i bambini oggi sono belli ma i miei nipoti sono bellissimi
IM Bè qui la nonna IMperfetta ha qualche tentennamento perché in fondo anche lei è d'accordo. O meglio lei vede benissimo che ci sono un sacco di altri bambini più belli dei suoi nipoti però per lei i suoi sono veramente bellissimi! E poi sono così intelligenti!!
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mercoledì 20 novembre 2013
Regione Lombardia - Aiuto economico alle famiglie
Un sostegno concreto per i genitori separati in gravi difficoltà economiche
Regione Lombardia ha stanziato risorse aggiuntive per un
milione di euro a favore dei genitori separati con figli minori e, in
particolare, a coloro che vivono una situazione di fragilità e
difficoltà economica e sociale. Si può presentare la domanda
rivolgendosi ai consultori che aderiscono all’iniziativa.
Con la delibera n. 681 del 13 settembre 2013, Regione Lombardia ha stanziato risorse aggiuntive di 1 milione di euro per i genitori separati con figli minori.
Il provvedimento della Giunta regionale intende sostenere, con opportuni interventi, i genitori separati legalmente o in fase di separazione e con figli minori, al fine di tutelare il diritto del minore ad una crescita armonica e serena, di accompagnare i genitori nella ridefinizione del loro ruolo genitoriale nella fase di separazione e di sostenere, anche economicamente, il genitore separato legalmente da non più di tre anni, che a seguito della separazione si trova in una situazione di disagio economico, comprovato in base ai criteri di seguito indicati, definendo inoltre il ruolo dei soggetti pubblici e privati coinvolti.
I destinatari
Sono destinatari del contributo:
- Il genitore con uno o più figli minori, separato legalmente da non oltre tre anni, che si trova, in seguito alla separazione, in situazione di grave e comprovato disagio economico: possibilità di accedere al contributo economico
- le famiglie in fase di separazione, separate o divorziate, relativamente agli interventi di sostegno erogati nell’ambito delle attività consultoriali
Per richiedere il contributo, Il genitore del figlio minore deve trovarsi nella condizione di una Separazione legale ed effettiva da non più di tre anni; essere residente il Lombardia da almeno 5 anni; essere in una condizione di disagio dimostrato attraverso attestazione ISEE; avere sottoscritto un patto di corresponsabilità.
La domanda
La domanda di accesso al contributo deve essere presentata, nella Asl di residenza, presso il Consultorio pubblico, o privato accreditato e a contratto che ha manifestato presso la Asl competente l’adesione all’iniziativa.
Il sostegno economico massimo per l’anno 2013 ammonta a € 2.400 per persona. Tale importo verrà erogato attraverso un contributo mensile di € 400 per una durata massima di 6 mesi nell’anno 2013. Il contributo mensile verrà accreditato su carta di debito prepagata.
Per maggiori informazioni ci si può rivolgere ai consultori aderenti all'iniziativa.
Con la delibera n. 681 del 13 settembre 2013, Regione Lombardia ha stanziato risorse aggiuntive di 1 milione di euro per i genitori separati con figli minori.
Il provvedimento della Giunta regionale intende sostenere, con opportuni interventi, i genitori separati legalmente o in fase di separazione e con figli minori, al fine di tutelare il diritto del minore ad una crescita armonica e serena, di accompagnare i genitori nella ridefinizione del loro ruolo genitoriale nella fase di separazione e di sostenere, anche economicamente, il genitore separato legalmente da non più di tre anni, che a seguito della separazione si trova in una situazione di disagio economico, comprovato in base ai criteri di seguito indicati, definendo inoltre il ruolo dei soggetti pubblici e privati coinvolti.
I destinatari
Sono destinatari del contributo:
- Il genitore con uno o più figli minori, separato legalmente da non oltre tre anni, che si trova, in seguito alla separazione, in situazione di grave e comprovato disagio economico: possibilità di accedere al contributo economico
- le famiglie in fase di separazione, separate o divorziate, relativamente agli interventi di sostegno erogati nell’ambito delle attività consultoriali
Per richiedere il contributo, Il genitore del figlio minore deve trovarsi nella condizione di una Separazione legale ed effettiva da non più di tre anni; essere residente il Lombardia da almeno 5 anni; essere in una condizione di disagio dimostrato attraverso attestazione ISEE; avere sottoscritto un patto di corresponsabilità.
La domanda
La domanda di accesso al contributo deve essere presentata, nella Asl di residenza, presso il Consultorio pubblico, o privato accreditato e a contratto che ha manifestato presso la Asl competente l’adesione all’iniziativa.
Il sostegno economico massimo per l’anno 2013 ammonta a € 2.400 per persona. Tale importo verrà erogato attraverso un contributo mensile di € 400 per una durata massima di 6 mesi nell’anno 2013. Il contributo mensile verrà accreditato su carta di debito prepagata.
Per maggiori informazioni ci si può rivolgere ai consultori aderenti all'iniziativa.
TIPOLOGIA: | Agevolazioni | ||||
SCADENZA: | Ad esaurimento fondi | ||||
DATA DI PUBBLICAZIONE: | 15-07-2013 | ||||
STATO: | Aperto |
mercoledì 13 novembre 2013
Prendere esempio dagli anziani, la ricetta della Longevità
Prendere esempio dagli anziani, o meglio dai super anziani
Tuttavia, oggi con questo breve articolo ti spiego perché sia necessario prendere a modello gli anziani e riguardo a cosa.
Molte persone, tra cui ahime anche medici, dicono cosa fare per star
bene, ma poi conducono una vita sregolata, mangiano male, fumano, bevono
superalcolici ecc.Sono queste le persone a cui dobbiamo credere?
Non so a te, ma per me il proverbio “predica bene e razzola male” è molto significativo. I grandi della storia, da Gesù a Madre Teresa, ci hanno insegnato che non è sufficiente predicare, ma è necessario dare un esempio concreto.
Dunque se aspiri a vivere a lungo e in salute, devi prendere esempio da qualcuno che è vissuto a lungo a sufficienza da poterti ispirare.
Nel mondo ci sono stati solo 800 supercentenari, persone che raggiungono i 110 anni di vita e solo 1 su 15 dei supercentenari arriva a 114 anni.
Le informazioni sono tratte dal Libro Energy di Roberto Re e Roy Martina, ma si possono trovare anche in un video molto esaustivo pubblicato su TED di Dan Butter, eploratore e scrittore del Natural Geographic .
Dan Butter conferma che la nostra longevità dipende da due fattori: fattori genetici e stile di vita.
Nel suo speech egli afferma che con tanti modelli è difficile scegliere a chi credere ma continuando dice che nel mondo ci sono 4 aree dove la longevità è più alta.
2 Miti da sfatare
MITO 1: Se ti impegni puoi vivere a lungoFalso: 1 americano su 5000 arriva a 100 anni. Il problema è che non siamo programmati per vivere a lung
Mito 2: Ci sono dei trattamenti che possono rallentare l’invecchiamento
Falso: nel nostro corpo abbiamo 35000 miliardi di cellule, che ogni 8 anni si sostituiscono con altre. Ogni volta però avviene qualche danno. È un po’ come quando ai tempi delle cassette, facevamo copie che passavamo in giro. A un certo livello della catena, l’audio della cassetta era davvero di bassa qualità.
La cosa migliore che si possa fare è concentrarsi e prendere esempio da quelle popolazioni che vivono a lungo.
Dove si vive più a lungo nel mondo
Ci sono 4 posti nel mondo, dove le persone vivono più a lungo. Sono definite da Dan come Zone Blu (Blue Zone)- Loma (California)
- Costa Rica
- Sardegna (qui in Italia)
- Okinawa (Giappone)
Troviamo una zona blue, vicino all’area di Nuoro in Sardegna dove troviamo 10 volte il numero di centenari che ci sono in America e questa è una zona dove gli anziani dimostrano una straordinaria forza.
Centenari che vanno in motorino, spaccano legna, battono giovani a braccio di ferro
Hanno una dieta basata principalmente sulle verdure, pane non lievitato, chiamato carta musica fatto con grano duro, un formaggio altissimo di Omega-3, e il Cannonau, un vino che ha 3 volte il livello di polifenoli contenuti negli altri vini. Ma la cosa più importante, prosegue Dan Buettner, è che hanno un organizzazione sociale che mette al centro gli anziani.
La seconda zona blue è trovata nei pressi di Okinawa, in Giappone dove la popolazione, soprattutto femminile, ha un’aspettativa alta di vita. Loro vivono a lungo, si addormentano velocemente e dimostrano solo 1/5 delle malattie quali cancro al seno e al colon.
Hanno una dieta basata su verdure e mangiano 8 volte la quantità di tofu che viene mangiata dagli americani. Ma soprattutto mangiano meno usando piatti più piccoli. Come in Sardegna, anche in Giappone, gli anziani hanno un posto d’onore e hanno moltissimi amici, cosa che li rende meno inclini a soffrire di solitudine.
IKIGAI, lo scopo della vita
“Qual è lo scopo della tua esistenza?”, chiedeva Dan a gli ultra centenari. Per tutti era l’assoluta necessita di doversi alzare al mattino per fare qualcosa.Un’altra zona blue è stata trovata in California. Le persone che vivevano di più avevano una dieta basata su ciò che era indicato sulla Bibbia: Genesi capitolo 1 versetto 29 dove si parla di legumi, semi e piante verdi.
Le persone qui, hanno abitudini vincenti. (Vediamo ancora una volta quanto le abitudini siano fondamentali regolatrici di tutta la nostra esistenza e del nostro successo personale)
Ellsworth Whaream, è un multimilionario di 97anni. Quando un’azienda costruttrice gli chiese 6000 euro per fare una recinzione, gli ha risposto che se la poteva fare da solo gratuitamente.
Così per 3 giorni si mise a lavorare impastando cemento e piantando pali tutt’attorno e il 4 giorno finì in una sala operatoria come probabilmente era ipotizzabile, ma ci finì in qualità di chirurgo per svolgere una operazione a cuore aperto! :)
All’età di 97 anni esegue 20 operazioni a cuore aperto al mese!
Ed Rawlings, 103 anni un cowboy che inizia la sua giornata con una nuotata e pratica di tanto in tanto sci nautico,
La ricetta della longevità
Dai suoi studi per il National Geographic, Dan Buettner, concluse che:- Nessun individuo faceva esercizio fisico sportivo, ma tutti avevano impostato la propria vita con attività che necessitavano di movimento fisico. Considera che in Giappone sono seduti per terra e si alzano e si siedono almeno 40 volte al giorno.
- Hanno tutti uno scopo nella vita e hanno vita spirituale
- Mangiano meno, mangiano a base di verdura, semi e legumi e bevono vino (rosso)
- Amano i propri figli, vivono in comunità circondandosi delle persone giuste. Sei tuoi 3 migliori amici sono obesi, ci saranno alte opportunità che anche tu sia obeso.
mercoledì 6 novembre 2013
La solitudine di figli e anziani
La solitudine di anziani e familiari
«Il gran problema dei suoi genitori es la soleità». Così la badante ha
sintetizzato, nella categoria della solitudine, il tratto più
paradossale e inatteso degli anziani in questa società massificata.
Ma alla solitudine dell’anziano si accompagna la “soleità” di noi
figli: smarriti nella scoperta improvvisa di doverci occupare di
genitori non più autonomi. E tutto ciò proprio in una età in cui
incominciano i primi acciacchi e, al tempo stesso, maturano le
esperienze professionali che divorano tempo ed energie.Ho accompagnato mia madre al pronto soccorso e ho ricevuto i rimbrotti di un medico trentenne, perché «non si possono lasciare da soli a questa età». Il panico mi ha preso allo stomaco e si mescola al senso di colpa: “Forse dovrei seguirli più da vicino?”. Poi sorgono i dubbi: “Ma non posso fare a meno di lavorare!”, e “Ho già i miei problemi, non ho abbastanza energie per farmi carico di altre vite”. Ma i dubbi sono anche più seri: “Seppure volessi curarmi di loro, non ne sarei capace”. E ancora: “Non ho mai avuto con i miei genitori l’intimità o il distacco necessari per accudirli!”
Gli anziani spesso costruiscono attorno alla loro vecchiaia una fortezza invalicabile. Nemmeno quando la loro capacità di scegliere, di decidere, di valutare è venuta meno, si ha facilmente accesso al loro mondo. Si ricorre allora al/alla badante, perché il lavoro, lo slittamento continuo del termine per il pensionamento, l’atomizzazione della famiglia, l’incapacità, non permettono altra scelta. La badante, introdotta talvolta sotto falso ruolo nella vita degli anziani (donna delle pulizie, stiratrice, ecc.), sta con loro più di quanto noi figli siamo riusciti a stare in tanti anni.
E succede che…la badante conosce la casa, previene le esigenze e i miei genitori, che non hanno mai ceduto a nessuno il controllo delle proprie vite, accettano il suo intervento sui vestiti, sul cibo, sulle medicine.
La relazione tra i miei genitori e la badante è diventata di tiepida fiducia. Lei lavora tantissimo: interpreta diversi ruoli, argina il disagio, si inventa soluzioni.
Noi figli ci occupiamo dei genitori solo a distanza. Telefoniamo, prendiamo appuntamenti con i medici, ritiriamo certificati.
Mentre svolgiamo queste incombenze, capita di incontrare altri figli che fanno le stesse cose. Ma non parliamo, non scambiamo idee. Non esiste un “Comitato-figli-anziani-di-genitori-anziani”, un’associazione che si potrebbe chiamare “Pane e latte”, come quando i bambini erano piccoli – tanto il cibo non è poi così diverso.
Comincio a vedere come in uno specchio la mia “soleità” futura e mi chiedo: “Ci saranno ancora risorse per gli anziani? Il sistema che garantisce ai nostri genitori servizi e sussidi si sta sgretolando. Lavoreremo di più, ci cureremo di meno?” E se riscoprissimo per tempo la condivisione dei problemi e delle risorse? È proprio necessario che ognuno viva in solitudine nel suo piccolo appartamento, con la propria badante, il suo bagno male attrezzato, le barriere architettoniche che rendono una passeggiata nel cortile più complicata di una spedizione in alta montagna?
Disponete gia' di una badante convivente ma desiderate che venga sostituita nei giorni di riposo o aiutata in alcuni momenti del giorno?
Progetto Famiglia Network risponde perfettamente alle vostre esigenze!
Grazie alla flessibilita' dei nostri servizi, possiamo affiancare in alcuni momenti la vostra badante con una nostra operatrice, in modo da aiutarla ad effettuare quelle operazioni che da sola non riuscirebbe ad affrontare, come ad esempio l'igiene personale, l'alzata e la messa a letto.
In caso di assenza invece per riposo settimanale, ferie o malattia, risolviamo tranquillamente il vostro problema.
domenica 3 novembre 2013
I bimbi piccoli e la velocità di apprendimento
La velocità e l’apparente facilità con cui i bambini piccoli
imparano le basi di una lingua stupisce da sempre genitori scienziati, infatti comunemente si pensa che l’apprendimento del linguaggio complesso sia prerogativa degli adulti.
Tuttavia, un gruppo di ricercatrici del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences di Leipzig hanno scoperto che i neonati con meno di tre mesi di vita sono in grado di estrarre e apprendere automaticamente regole complesse dalla lingua parlata; compito che agli adulti riuscirebbe solo grazie a un processo di ricerca e riconoscimento attivo.
Jutta Mueller, Angela D. Friederici and Claudia Maennel hanno fatto ascoltare a dei neonati per 20 minuti un flusso di sillabe mentre misuravano le risposte cerebrali dei bambini con EEG. Le coppie di sillabe comparivano insieme, ma erano separate da una terza sillaba; questa dipendenza (dependency) tra le sillabe non contigue sarebbe tipica nelle lingue naturali e si ritrova in molte costruzioni grammaticali.
Le misurazioni EEG hanno dimostrato che i bambini erano in grado di riconoscere la violazione delle regole quando la combinazione si presentava con una sillaba “fuori posto”; inoltre, gli scienziati hanno, di tanto in tanto, variato il tono di una sillaba con un tono più alto con un risultato interessante: solo quei bambini il cui cervello ha reagito ai cambiamenti di frequenza del suono erano in grado di rilevare la dipendenze tra le sillabe.
Quando gli adulti affrontano la stesso compito dimostrano di reagire alle violazioni delle regole solo quando gli si chiede di cercare esplicitamente le dipendenze tra le sillabe; particolarmente interessante secondo i ricercatori sarebbe il fatto che gli adulti che hanno dimostrato l’apprendimento della regola hanno anche mostrato una forte risposta cerebrale ai cambiamenti di tono. Mueller e i suoi colleghi concludono che, evidentemente, la capacità di riconoscimento automatico si perde dopo la prima infanzia.
Questi risultati non solo possono aiutare a comprendere in che modo i bambini riescano a imparare una lingua così rapidamente durante il primo sviluppo, ma mettono in evidenza anche un forte legame tra capacità uditive di base e capacità di apprendimento di regole sofisticate. Gli scienziati stanno ora indagando se nei bambini che hanno mostrato differenze in risposta ai cambiamenti di tonalità e nella capacità di apprendimento delle regole siano riscontrabili effetti a lungo termine sullo sviluppo del linguaggio.
Tuttavia, un gruppo di ricercatrici del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences di Leipzig hanno scoperto che i neonati con meno di tre mesi di vita sono in grado di estrarre e apprendere automaticamente regole complesse dalla lingua parlata; compito che agli adulti riuscirebbe solo grazie a un processo di ricerca e riconoscimento attivo.
Jutta Mueller, Angela D. Friederici and Claudia Maennel hanno fatto ascoltare a dei neonati per 20 minuti un flusso di sillabe mentre misuravano le risposte cerebrali dei bambini con EEG. Le coppie di sillabe comparivano insieme, ma erano separate da una terza sillaba; questa dipendenza (dependency) tra le sillabe non contigue sarebbe tipica nelle lingue naturali e si ritrova in molte costruzioni grammaticali.
Le misurazioni EEG hanno dimostrato che i bambini erano in grado di riconoscere la violazione delle regole quando la combinazione si presentava con una sillaba “fuori posto”; inoltre, gli scienziati hanno, di tanto in tanto, variato il tono di una sillaba con un tono più alto con un risultato interessante: solo quei bambini il cui cervello ha reagito ai cambiamenti di frequenza del suono erano in grado di rilevare la dipendenze tra le sillabe.
Quando gli adulti affrontano la stesso compito dimostrano di reagire alle violazioni delle regole solo quando gli si chiede di cercare esplicitamente le dipendenze tra le sillabe; particolarmente interessante secondo i ricercatori sarebbe il fatto che gli adulti che hanno dimostrato l’apprendimento della regola hanno anche mostrato una forte risposta cerebrale ai cambiamenti di tono. Mueller e i suoi colleghi concludono che, evidentemente, la capacità di riconoscimento automatico si perde dopo la prima infanzia.
Questi risultati non solo possono aiutare a comprendere in che modo i bambini riescano a imparare una lingua così rapidamente durante il primo sviluppo, ma mettono in evidenza anche un forte legame tra capacità uditive di base e capacità di apprendimento di regole sofisticate. Gli scienziati stanno ora indagando se nei bambini che hanno mostrato differenze in risposta ai cambiamenti di tonalità e nella capacità di apprendimento delle regole siano riscontrabili effetti a lungo termine sullo sviluppo del linguaggio.
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venerdì 1 novembre 2013
Le nonne dell'era di Internet
Da un simpatico articolo della Repubblica, sulle nonne dell'era di Internet
Nonne 2.0
Si sentono giovani, sono allegre e bloggano tanto quanto lavorano a maglia. Raccontano il bello dell’età, i falsi stereotipi e come passare ai nipotini il loro senso della libertàdi Mara Accettura
Bloggo, twitto, viaggio, vado in palestra e mangio fuori. Mi piace
vestirmi bene. Mi irrito facilmente con chiunque vuole sbarazzarsi di me
col Bingo o col poliestere solo perché ho compiuto 60 anni» (FeeTee).
«Non sono vecchia, sono una diciottenne con 47 anni di esperienza»
(harrigram). «Ho ascoltato qualcuno su Radio 4 dire: “Non finisci di
essere giovane perché sei diventato vecchio. Diventi vecchio perché hai
smesso di essere giovane”. Io mi sento meglio a 71 anni che a 50...
L’unica cosa che mi ricorda la mia età è quando i miei nipotini pensano
che non apprezzi le battute volgari - ma la mia testa non si è ristretta
con l’età» (greatnan).
Sono tre voci prese da Gransnet il social network più frequentato dalle nonne hip britanniche dove nei forum si chatta di cucina, sesso, politica, giochi per bambini e nuore difficili, e gli argomenti più caldi riguardano la dieta 5:2 (due giorni di digiuno su 7), gli incidenti del dating (uomini che orrore, parlano di problemi alla prostata al primo appuntamento) e i peggiori errori fashion da evitare (dagli uggs ai pantaloni di pelle). Oggi le voci delle “gransnetters” sono state raccolte in The New Granny Survival Guide: Everything ou Need To Know To Be The Best Gran (“La nuova guida per la sopravvivenza della nonna: tutto quello che devi sapere per essere la migliore”), con una prefazione della bellissima Janet Ellis, blogger, ex presentatrice di Blue Peter (una trasmissione per bambini) e nonna di tre nipotini. «Diventare nonna cambia le relazioni in famiglia nel giro di una notte», scrive.
Nel Regno Unito i nonni sono tanti e sono giovani: 14 milioni, di cui uno su dieci ha meno di 50 anni (questo a causa del numero di mamme teenager, il più alto in Europa) e la metà meno di 65. Alcuni di loro fanno parte di quella sandwich generation che non solo si prende cura dei nipotini sopperendo alle falle del welfare (accade a metà dei bimbi sotto i 10 anni), ma anche dei genitori anziani.
Non c’è da meravigliarsi se molte di loro vivono una nuova fase della vita che non è mai esistita prima. Sono in buona salute, affaccendate, spiritose, e twittano tanto quanto lavorano a maglia. Altro che infilare vestaglie e pantofole, le grannies hanno una vita sessuale attiva: «Quando ho festeggiato i miei 55 anni al lavoro una ragazza sui 20 anni mi ha chiesto a che età avessi smesso di fare sesso. Le ho risposto che gliel’avrei detto non appena l’avessi saputo», racconta Joan. E Susuecb, 58 anni: «Grazie a Dio per la terapia ormonale e la vita da pensionata: oggi è meglio che mai».
Ma perché mai le nonne moderne hanno bisogno di consigli? Non dovrebbero essere loro le esperte? Non proprio. Relazionarsi a una figlia è un conto, relazionarsi a una figlia che ha avuto un figlio, o peggio ancora una nuora, un altro. Le gerarchie sono cadute, la saggezza di ieri è la sciocchezza di oggi. Le intrusioni sono campi minati. «Mai mettersi contro lo stile genitoriale di mamma e papà, anche se non siete d’accordo», consigliano le “gransnetters”. Su religione e sesso soprattutto. Come si risponde a domande tipo: chi è Gesù o dove è andato il gatto che è morto? Le brave nonne anticipano momenti imbarazzanti chiedendo la versione dei genitori. Oppure prendete un argomento scottante come le morti in culla. Negli anni 60 i bambini si facevano dormire a pancia in giù. Poi si è scoperto che la posizione più sicura è sulla schiena. Un’altra scivolata evitabile è quella sul congedo di maternità: una volta le donne che tornavano a lavorare dopo un figlio erano una minoranza, oggi sono più della metà. Quindi mai criticare le scelte delle figlie (o delle nuore), neppure quando si disapprovano.
Anche in Italia non mancano le nonne blogger: dal blog della nonna Bruna (antiche ricette di torte e biscottini), a quello di nonna Sabbella (pillole di saggezza quotidiana), ma non abbiamo trovato un vero social network che le aggrega. Nel nostro paese gli over 65 sono circa 12 milioni, la media più alta di tutta Europa. «Ma non esistono dati precisi a livello nazionale sulla categoria dei nonni», spiega Cristiana Ottaviano, professore associato di Sociologia dei processi culturali all’Università di Bergamo, «perché in genere si fanno rientrare nella categoria generale degli anziani. Benché molti anziani non siano nonni, così come molti nonni non sono anziani».
Per colmare la lacuna Ottaviano ha fatto una ricerca qualitativa molto interessante sul territorio bergamasco coinvolgendo 1500 nonni da cui è nato il libro Ri-nascere: nonni e nonne domani. Legami intergenerazionali nella società complessa (Liguori), da cui è emerso che anche da noi la generazione che ha fatto il ’68 - la più scolarizzata, quella che ha cambiato il rapporto di coppia, la maniera di concepire l’educazione e così via - si è inventata anche una nuova maniera di fare il nonno. È d’accordo Marina Codecasa Cavallo, milanese, nonna di quattro nipotini. «Non mi sento vecchia e non mi sento votata alla nonnitudine. Mi rifiuto di andare ai giardinetti però al mare li ospito tutti e insegno loro a giocare a burraco, leggo con loro, me li porto alle mostre e al cinema. Mi piacciono molto i nipotini quando posso interloquire, ma non voglio fare la babysitter».
Forse è proprio questa la differenza più stridente dei nuovi ex sessantottini: «Si sentono molto “ancora” nella capacità di sostegno emotivo ma poco “faro” nel senso di trasmettitori di valori di vita del passato», dice Ottaviano. «Preferiscono testimoniare con l’esperienza diretta della loro vita e condividere il sapere in modo reciproco invece di trasmetterlo gerarchicamente».
Quel che è certo è che per i figli precari i nonni italiani sono una risorsa di tempo (sostituiscono l’asilo) e spesso anche economica (avendo goduto di stipendi fissi prima e ora di pensioni). Secondo Silvia Vegetti Finzi, autrice di Nuovi nonni per nuovi nipoti (Mondadori): «Sono veri e propri ammortizzatori sociali e stanno salvando l’Italia dalla rovina economica in cui sono finite per esempio migliaia di famiglie negli Stati Uniti all’inizio di questa recessione».
CON I NIPOTI SI PUÒ
1. I 15 cuscini sul divano servono alla costruzione della tana, non a farci sedere gli adulti.
2. Le buone maniere a tavola sono soggettive e sì, le dita fanno proprio lo stesso lavoro della forchetta.
3. Mettersi quei deliziosi stivali nuovi a letto va bene (ma non dirlo alla mamma)
4. Il cibo sulla testa è un fashion statement.
5. Se devi lavarti le mani, la ciotola di acqua del cane va bene quanto il lavandino. (Da The New Granny’s Survival Guide, ed. Vermillion)
QUELLO CHE GOOGLE NON SAPRÀ MAI FARE
Una volta i nonni erano depositari di saggezza ed esperienza. Consiglieri, alleati e amici. Il pulsante d’emergenza per soddisfare ogni (o quasi) tipo di curiosità. Avendo più tempo a disposizione dei genitori potevano insegnarti come si fa a costruire una casa coi mattoncini lego, stirare una camicia, cucire un bottone, cucinare un arrosto. Non più. Motivo? I contatti più scarsi con i nipoti, la lontananza geografica ma soprattutto la presenza ingombrante di Internet. Secondo un sondaggio britannico della società Dr Beckmann su 1500 nonni, i nipotini, che cominciano a smanettare su Ipad, smartphone e computer sin dai 3 anni, scelgono sempre di più Google, Wikipedia e YouTube per soddisfare in maniera istantanea qualsiasi dubbio. Infatti nove anziani su dieci raccontano che questa modalità è la differenza principale rispetto al rapporto che loro stessi avevano con i nonni. Due terzi poi dichiarano come il ruolo tradizionale è meno importante nella vita della famiglia contemporanea. Quello che il sondaggio non rivela è che Google, Wikipedia e YouTube sono assolutamente inutili quando c’è da prendere un bimbo dall’asilo o viziarlo con patatine e coca.
Sono tre voci prese da Gransnet il social network più frequentato dalle nonne hip britanniche dove nei forum si chatta di cucina, sesso, politica, giochi per bambini e nuore difficili, e gli argomenti più caldi riguardano la dieta 5:2 (due giorni di digiuno su 7), gli incidenti del dating (uomini che orrore, parlano di problemi alla prostata al primo appuntamento) e i peggiori errori fashion da evitare (dagli uggs ai pantaloni di pelle). Oggi le voci delle “gransnetters” sono state raccolte in The New Granny Survival Guide: Everything ou Need To Know To Be The Best Gran (“La nuova guida per la sopravvivenza della nonna: tutto quello che devi sapere per essere la migliore”), con una prefazione della bellissima Janet Ellis, blogger, ex presentatrice di Blue Peter (una trasmissione per bambini) e nonna di tre nipotini. «Diventare nonna cambia le relazioni in famiglia nel giro di una notte», scrive.
Nel Regno Unito i nonni sono tanti e sono giovani: 14 milioni, di cui uno su dieci ha meno di 50 anni (questo a causa del numero di mamme teenager, il più alto in Europa) e la metà meno di 65. Alcuni di loro fanno parte di quella sandwich generation che non solo si prende cura dei nipotini sopperendo alle falle del welfare (accade a metà dei bimbi sotto i 10 anni), ma anche dei genitori anziani.
Non c’è da meravigliarsi se molte di loro vivono una nuova fase della vita che non è mai esistita prima. Sono in buona salute, affaccendate, spiritose, e twittano tanto quanto lavorano a maglia. Altro che infilare vestaglie e pantofole, le grannies hanno una vita sessuale attiva: «Quando ho festeggiato i miei 55 anni al lavoro una ragazza sui 20 anni mi ha chiesto a che età avessi smesso di fare sesso. Le ho risposto che gliel’avrei detto non appena l’avessi saputo», racconta Joan. E Susuecb, 58 anni: «Grazie a Dio per la terapia ormonale e la vita da pensionata: oggi è meglio che mai».
Ma perché mai le nonne moderne hanno bisogno di consigli? Non dovrebbero essere loro le esperte? Non proprio. Relazionarsi a una figlia è un conto, relazionarsi a una figlia che ha avuto un figlio, o peggio ancora una nuora, un altro. Le gerarchie sono cadute, la saggezza di ieri è la sciocchezza di oggi. Le intrusioni sono campi minati. «Mai mettersi contro lo stile genitoriale di mamma e papà, anche se non siete d’accordo», consigliano le “gransnetters”. Su religione e sesso soprattutto. Come si risponde a domande tipo: chi è Gesù o dove è andato il gatto che è morto? Le brave nonne anticipano momenti imbarazzanti chiedendo la versione dei genitori. Oppure prendete un argomento scottante come le morti in culla. Negli anni 60 i bambini si facevano dormire a pancia in giù. Poi si è scoperto che la posizione più sicura è sulla schiena. Un’altra scivolata evitabile è quella sul congedo di maternità: una volta le donne che tornavano a lavorare dopo un figlio erano una minoranza, oggi sono più della metà. Quindi mai criticare le scelte delle figlie (o delle nuore), neppure quando si disapprovano.
Anche in Italia non mancano le nonne blogger: dal blog della nonna Bruna (antiche ricette di torte e biscottini), a quello di nonna Sabbella (pillole di saggezza quotidiana), ma non abbiamo trovato un vero social network che le aggrega. Nel nostro paese gli over 65 sono circa 12 milioni, la media più alta di tutta Europa. «Ma non esistono dati precisi a livello nazionale sulla categoria dei nonni», spiega Cristiana Ottaviano, professore associato di Sociologia dei processi culturali all’Università di Bergamo, «perché in genere si fanno rientrare nella categoria generale degli anziani. Benché molti anziani non siano nonni, così come molti nonni non sono anziani».
Per colmare la lacuna Ottaviano ha fatto una ricerca qualitativa molto interessante sul territorio bergamasco coinvolgendo 1500 nonni da cui è nato il libro Ri-nascere: nonni e nonne domani. Legami intergenerazionali nella società complessa (Liguori), da cui è emerso che anche da noi la generazione che ha fatto il ’68 - la più scolarizzata, quella che ha cambiato il rapporto di coppia, la maniera di concepire l’educazione e così via - si è inventata anche una nuova maniera di fare il nonno. È d’accordo Marina Codecasa Cavallo, milanese, nonna di quattro nipotini. «Non mi sento vecchia e non mi sento votata alla nonnitudine. Mi rifiuto di andare ai giardinetti però al mare li ospito tutti e insegno loro a giocare a burraco, leggo con loro, me li porto alle mostre e al cinema. Mi piacciono molto i nipotini quando posso interloquire, ma non voglio fare la babysitter».
Forse è proprio questa la differenza più stridente dei nuovi ex sessantottini: «Si sentono molto “ancora” nella capacità di sostegno emotivo ma poco “faro” nel senso di trasmettitori di valori di vita del passato», dice Ottaviano. «Preferiscono testimoniare con l’esperienza diretta della loro vita e condividere il sapere in modo reciproco invece di trasmetterlo gerarchicamente».
Quel che è certo è che per i figli precari i nonni italiani sono una risorsa di tempo (sostituiscono l’asilo) e spesso anche economica (avendo goduto di stipendi fissi prima e ora di pensioni). Secondo Silvia Vegetti Finzi, autrice di Nuovi nonni per nuovi nipoti (Mondadori): «Sono veri e propri ammortizzatori sociali e stanno salvando l’Italia dalla rovina economica in cui sono finite per esempio migliaia di famiglie negli Stati Uniti all’inizio di questa recessione».
CON I NIPOTI SI PUÒ
1. I 15 cuscini sul divano servono alla costruzione della tana, non a farci sedere gli adulti.
2. Le buone maniere a tavola sono soggettive e sì, le dita fanno proprio lo stesso lavoro della forchetta.
3. Mettersi quei deliziosi stivali nuovi a letto va bene (ma non dirlo alla mamma)
4. Il cibo sulla testa è un fashion statement.
5. Se devi lavarti le mani, la ciotola di acqua del cane va bene quanto il lavandino. (Da The New Granny’s Survival Guide, ed. Vermillion)
QUELLO CHE GOOGLE NON SAPRÀ MAI FARE
Una volta i nonni erano depositari di saggezza ed esperienza. Consiglieri, alleati e amici. Il pulsante d’emergenza per soddisfare ogni (o quasi) tipo di curiosità. Avendo più tempo a disposizione dei genitori potevano insegnarti come si fa a costruire una casa coi mattoncini lego, stirare una camicia, cucire un bottone, cucinare un arrosto. Non più. Motivo? I contatti più scarsi con i nipoti, la lontananza geografica ma soprattutto la presenza ingombrante di Internet. Secondo un sondaggio britannico della società Dr Beckmann su 1500 nonni, i nipotini, che cominciano a smanettare su Ipad, smartphone e computer sin dai 3 anni, scelgono sempre di più Google, Wikipedia e YouTube per soddisfare in maniera istantanea qualsiasi dubbio. Infatti nove anziani su dieci raccontano che questa modalità è la differenza principale rispetto al rapporto che loro stessi avevano con i nonni. Due terzi poi dichiarano come il ruolo tradizionale è meno importante nella vita della famiglia contemporanea. Quello che il sondaggio non rivela è che Google, Wikipedia e YouTube sono assolutamente inutili quando c’è da prendere un bimbo dall’asilo o viziarlo con patatine e coca.
Sport e terza età
Sport e terza età
Sport e terza età
I dati forniti dall'Istat sull'invecchiamento della popolazione italiana, mostrano con una proiezione al 2020, come la percentuale degli ultra sessantacinquenni dall'attuale 18%, quasi 10 milioni, passerà al 23% della popolazione italiana.
Il processo di invecchiamento ha ancora molti lati oscuri e numerose sono le teorie che cercano di dare una spiegazione scientifica a questo processo. Per alcuni esperti di genetica l'invecchiamento è un processo predeterminato geneticamente; per altri l'invecchiamento è causato da errori di duplicazione del DNA, che aumentano esponenzialmente nel tempo. Altri studiosi invece credono che il processo di invecchiamento sia collegato alla capacità di risposta e di efficienza del sistema immunitario. Con il passare del tempo si è notato anche come le persone invecchiano in maniera differente tra loro, arrivando a determinare il concetto di età biologica ed età cronologica (anagrafica). Sulla base di questo concetto si possono distinguere due tipi di invecchiamento:
Invecchiamento naturale, dovuto a variazioni
graduali e fisiologiche che riducono progressivamente le capacità
di adattamento dell'anziano (in questo caso età biologica ed età
anagrafica coincidono) Invecchiamento precoce, dovuto a fattori genetici, a condizioni di vita sfavorevoli, a lavori usuranti, a errori alimentari, all'abuso di alcool, ecc. (in questo caso l'età biologica supera quella cronologica) |
Nonostante le tesi sulle cause dell'invecchiamento siano ancora discordanti, sono certi invece determinati mutamenti fisiologici, primo fra tutti quello cerebrale. Il cervello, che raggiunge nell'uomo il suo massimo volume e peso intorno ai 25 anni circa, regredisce più o meno velocemente con l'avanzare dell'età, fino al 10% del suo volume iniziale. Questa riduzione porta parallelamente ad una degenerazione con conseguente sfoltimento dei neuroni cerebrali.
Esami istologici hanno messo in evidenza questa degenerazione a un insieme di azioni involutive riconosciute come: diminuzione del peso e del volume del cervello, variazione dei neuroni, perdita dei dendriti, aumento dei solchi e dei ventricoli, presenza di placche senili, deposito amiloide, alterazioni capillari, presenza della degenerazione neurofibrillare. L'incapacità del cervello a supportare l'attività di neurotrasmissione produce una serie di ripercussioni negative sull'organismo. La neurotrasmissione si abbassa contemporaneamente all'attività elettrica del cervello. Un aspetto strettamente legato alla riduzione della trasmissione neuronale è quello della diminuzione della forza muscolare. L'invecchiamento evidenzia questa caratteristica, dovuta maggiormente all'ipotonicità dei muscoli con conseguenti problemi posturali, articolari e di consistenza della matrice ossea. Dell'ipotonia muscolare ne risente anche l'apparato respiratorio a causa di una minore espansione toracica con conseguente riduzione del volume respiratorio, a discapito di tutti i tessuti che richiedono ossigeno per la loro attività metabolica.
Andiamo ora ad analizzare i parametri importantissimi nell'attività fisica come forza, potenza e velocità.
Grimby e Saltin dimostrarono che la forza muscolare, sia statica che dinamica, diminuisce leggermente fino ai 45 anni e da questo periodo in poi cala del 5% per ogni decade cosi che, a 65 anni la riduzione della forza risulta essere del 25% circa. La principale causa del decadimento muscolare nell'anziano era determinata da una riduzione della massa muscolare di tipo quantitativo e non qualitativo. Altri studiosi hanno confermato questa teoria, analizzando il numero di fibre del vasto laterale in cadaveri. Dimostrarono che nell'arco della vita, dai 20 agli 80 anni, si ha una riduzione dell'area muscolare del 40%.
Per quanto riguarda la velocità nel 1990 Klitgaard e collaboratori dimostrarono una maggiore velocità di movimento in anziani che praticavano un regolare allenamento di forza con pesi rispetto a soggetti sedentari della stessa età e rispetto ad anziani nuotatori e corridori. Gli autori hanno messo in relazione questa riduzione della velocità alle differenze nella distribuzione nei vari tipi di fibre e alla composizione delle catene pesanti della miosina. È stato osservato in un gruppo di anziani non praticanti esercizio fisico, nei nuotatori e nei corridori, un più alto contenuto di miosina e tropomiosina lenta, rispetto a coloro che avevano eseguito un allenamento di forza. Questo studio trasversale mostra come un regolare allenamento della forza, durante l'invecchiamento, possa contribuire al mantenimento delle caratteristiche morfo-funzionali delle fibre veloci del muscolo.
Nel 1992 Skelton e collaboratori dimostrarono come nell'arco di tempo che va dai 65 agli 84 anni, sia negli uomini che nelle donne, si assiste ad un decadimento della potenza di circa il 3,5% per ogni anno di età. Gli stessi autori in uno studio più recente hanno dimostrato che dopo 12 settimane di allenamento si è verificato un incremento medio del 13-30% della forza isometrica del quadricipite, del bicipite femorale e della potenza degli arti inferiori. Il decremento della potenza è più evidente dopo i 50 anni ed interessa maggiormente gli uomini rispetto alle donne: questo non a causa delle variazioni di ATP o della sezione traversa del muscolo, ma piuttosto dall'alterazione di altre funzioni quali il reclutamento massimo delle unità motorie e la degenerazione degli alfa-motoneuroni.
I benefici derivati da una costante attività fisica nella terza età migliorano una serie di organi e di funzioni fisiologiche, in particolar modo quelle dell'apparato locomotore, cardiocircolatorio, respiratorio, nervoso. Analizziamo più specificatamente questi benefici:
Apparato locomotore
Ossa: maggiore resistenza per l'aumentata mineralizzazione e un maggiore sviluppo in spessore. Questo processo è favorito dalle trazioni esercitate durante i movimenti, che influenzano positivamente il rapporto tra osteociti e osteoblasti;Apparato cardiocircolatorio
Muscoli: aumenta sia il tono che la massa muscolare, con conseguente miglioramento della forza muscolare e a cascata anche della velocità e della resistenza;
Articolazioni: l'allenamento in genere produce effetti positivi, rendendo il movimento più fluido e funzionale. Tale effetto si ripercuote positivamente sulla coordinazione e sul controllo dei movimenti.
Sono stati registrati effetti positivi per quel che riguarda l'aumento della gittata sistolica, l'aumento della portata cardiaca, l'aumento dei capillari cardiaci e muscolari, la riduzione della frequenza cardiaca a riposo e la riduzione del tempo di recupero dopo lo sforzo.Apparato respiratorio
Potenziamento del diaframma e degli altri muscoli respiratori, diminuzione della frequenza respiratoria (gli atti respiratori sono più profondi), aumento della capacità vitale.Sistema nervoso
Maggiore sensibilità sui neuroni centrali e periferici con conseguente miglioramento della posizione del corpo nello spazio; aumento della velocità di conduzione dell'impulso nervoso sulla placca motrice; diminuzione dei tempi di reazione; maggiore sincronizzazione delle fibre muscolari.
Concludendo possiamo affermare come l'attività fisica sia l'antagonista principale di qualsiasi forma di invecchiamento. Muoversi, attraverso un'adeguata programmazione, significa ritardare l'inefficienza, riuscire a conservare una buona immagine di sé, sfruttare al meglio le proprie capacità.
Da non dimenticare, infine, gli effetti benefici sulla sfera psichica con miglioramenti sulla capacità di autocontrollo, concentrazione, capacità volitiva e di rilassamento.
Da uno studio di Fabrizio Felici
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domenica 27 ottobre 2013
La crisi peggiora la salute dei giovani
(ANSA) - ROMA, 26 OTT - La crisi fa male anche alla salute
dei giovani: in 5 anni e' complessivamente peggiorata, con un
aumento del 10% dei malati cronici.
Sono 12 milioni infatti gli italiani, in maggioranza over 55,
che convivono con due o più malattie croniche ma ora è "allarme
giovani". L'11% tra i 25 e i 40 anni e il 30% tra i 40 e i 55 ,
soffre già di almeno due patologie croniche e autoimmuni. Colpa
soprattutto della crisi economica che compromette la
possibilità di stili di vita adeguati e rende più fragile il
sistema immunitario. In tutto sono due milioni, il 10% in piu'
rispetto a cinque anni fa.
La colpa, spiegano i medici internisti riuniti per il 114° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI), a Roma dal 26 al 28 ottobre, è soprattutto della crisi economica, che non consente agli italiani uno stile di vita adeguato, fatto di alimentazione sana, movimento, prevenzione attraverso check-up regolari, e li espone così a una probabilità due volte e mezzo più alta di sviluppare malattie croniche come diabete ipertensione, bronchiti che vanno ad aggiungersi a quelle autoimmuni come le sindromi metaboliche, le patologie reumatologiche, epatologiche e intestinali sempre più diffuse. I pazienti con piu' di una una multi-morbilità vanno affrontati in modo globale per non rischiare l'eccesso di terapie: oggi 5 milioni di under 55 prendono in media 4-5 farmaci al giorno e il 20% è esposto al rischio di trattamenti inappropriati per la mancanza di una "guida" che individui la patologia principale e adotti un piano terapeutico efficace e adeguato. È questo il compito degli internisti, i medici "della complessità" che dovrebbero visitare i pazienti con due o più patologie almeno una volta all'anno. I "Doctor House" italiani sono oltre 11mila e gestiscono 39mila posti letto, per un totale di oltre 1,2 milioni di ricoveri l'anno.
"Nei giovani adulti stili di vita inadeguati, fatti di diete poco equilibrate e sane, di sedentarietà e cattive abitudini come il fumo o l'alcol, contribuiscono a provocare un sempre maggior numero di casi di patologie metaboliche, cardiovascolari, respiratorie che vanno dall'ipertensione al diabete, alla bronchite cronica - spiega Gino Roberto Corazza, presidente SIMI - La crisi economica oggi rende più fragile la popolazione anche nelle fasce più giovani, perché compromette la possibilità di compiere scelte di salute: per molti è diventato difficile, oltre che acquistare cibi sani o permettersi un abbonamento in palestra, perfino prendere l'auto per andare a correre al parco o fare analisi di routine''.
"Oggi gli under 55 prendono in media 4 o 5 farmaci al giorno e un paziente su cinque è esposto al rischio di trattamenti inappropriati per la mancanza di una 'guida' che individui una patologia principale e adotti un piano terapeutico efficace'' commenta Alessandro Nobili, responsabile del Laboratorio di valutazione della qualità delle cure dell'Istituto Mario Negri di Milano. (ANSA).
La colpa, spiegano i medici internisti riuniti per il 114° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI), a Roma dal 26 al 28 ottobre, è soprattutto della crisi economica, che non consente agli italiani uno stile di vita adeguato, fatto di alimentazione sana, movimento, prevenzione attraverso check-up regolari, e li espone così a una probabilità due volte e mezzo più alta di sviluppare malattie croniche come diabete ipertensione, bronchiti che vanno ad aggiungersi a quelle autoimmuni come le sindromi metaboliche, le patologie reumatologiche, epatologiche e intestinali sempre più diffuse. I pazienti con piu' di una una multi-morbilità vanno affrontati in modo globale per non rischiare l'eccesso di terapie: oggi 5 milioni di under 55 prendono in media 4-5 farmaci al giorno e il 20% è esposto al rischio di trattamenti inappropriati per la mancanza di una "guida" che individui la patologia principale e adotti un piano terapeutico efficace e adeguato. È questo il compito degli internisti, i medici "della complessità" che dovrebbero visitare i pazienti con due o più patologie almeno una volta all'anno. I "Doctor House" italiani sono oltre 11mila e gestiscono 39mila posti letto, per un totale di oltre 1,2 milioni di ricoveri l'anno.
"Nei giovani adulti stili di vita inadeguati, fatti di diete poco equilibrate e sane, di sedentarietà e cattive abitudini come il fumo o l'alcol, contribuiscono a provocare un sempre maggior numero di casi di patologie metaboliche, cardiovascolari, respiratorie che vanno dall'ipertensione al diabete, alla bronchite cronica - spiega Gino Roberto Corazza, presidente SIMI - La crisi economica oggi rende più fragile la popolazione anche nelle fasce più giovani, perché compromette la possibilità di compiere scelte di salute: per molti è diventato difficile, oltre che acquistare cibi sani o permettersi un abbonamento in palestra, perfino prendere l'auto per andare a correre al parco o fare analisi di routine''.
"Oggi gli under 55 prendono in media 4 o 5 farmaci al giorno e un paziente su cinque è esposto al rischio di trattamenti inappropriati per la mancanza di una 'guida' che individui una patologia principale e adotti un piano terapeutico efficace'' commenta Alessandro Nobili, responsabile del Laboratorio di valutazione della qualità delle cure dell'Istituto Mario Negri di Milano. (ANSA).
Il "Gene" della Fame
L'abitudine a mangiare di continuo? Potrebbe essere tutta colpa di un "gene della fame" che fa aumentare l'appetito e rallenta il metabolismo. A identificarlo gli studiosi della Cambridge University, nel Regno Unito, che ne hanno descritto il funzionamento in uno studio pubblicato sulla rivista Cell. Studiando 2101 persone gli scienziati hanno scoperto che coloro che avevano una particolare mutazione di un gene chiamato KSR2, erano più affamati e bruciavano un numero inferiore di calorie rispetto a coloro che avevano una variante normale dello stesso gene.
"Un'alimentazione migliore e l'attività fisica aiutano a tenere sotto controllo il peso - evidenzia il professor Sadaf Farooqi, che ha condotto la ricerca - tuttavia alcune persone non ci riescono, continuano a ingrassare, e il nostro studio dimostra che questo e' dovuto in parte a fattori genetici".
Una possibile cura per questo tipo di problemi potrebbe venire in futuro dalla metformina, un principio attivo utilizzato per la cura del diabete, perché come gli studiosi hanno evidenziato riduce l'ossidazione degli acidi grassi nelle cellule con la mutazione del gene KRS2.
mercoledì 23 ottobre 2013
Pulizia del cervello durante il sonno
Secondo
una nuova ricerca, dormire servirebbe al cervello per effettuare
"grandi pulizie". Per eliminare le scorie del metabolismo cellulare,
infatti, il cervello non può usare il sistema linfatico come il resto
del corpo, perché è isolato dalla barriera ematoencefalica. Il sistema
alternativo a cui ricorrre - detto glinfatico - consuma però una tale
quantità di energia da impedirgli di alimentare contemporaneamente anche
lo stato cosciente
Permettere la ripulitura del cervello da scorie potenzialmente neurotossiche. Sarebbe questa la ragione per cui si è evoluto il sonno, secondo una ricerca condotta presso il Centro di neuromedicina dell'Università di Rochester diretto da Maiken Nedergaard, ora pubblicata su “Science”.
Tutti noi abbiamo bisogno di un adeguato numero di ore di sonno per “funzionare” bene il giorno successivo e mantenerci in salute. Tuttavia, le ragioni per cui dormiamo non sono state chiarite a fondo. Risultati recenti hanno dimostrato che il sonno aiuta a memorizzare e consolidare i ricordi, e a elaborare migliori schemi comportamentali. Per quanto importantissima, questa funzione non sarebbe in grado però di spiegare l'evoluzione del sonno: i soli benefici che essa comporta non sembrano infatti sufficienti a compensare il rischio legato alla vulnerabilità in cui ci si trova dormendo, né a spiegare adegiatamente i gravissimi sintomi che si manifestano in chi viene privato a lungo del sonno.
Per cercare di capire quale possa essere la funzione di base del sonno, nel nuovo studio i ricercatori hanno esaminato il cervello di un gruppo di topi - il cui sistema nervoso centrale è molto simile a quello degli esseri umani – alla luce di una recente scoperta fatta da Nedergaard e colleghi sul sistema di smaltimento dei rifiuti metabolici cerebrali.
La tempestiva rimozione di questi rifiuti è essenziale per evitare l'accumulo incontrollato di proteine tossiche, un fenomeno che si riscontra pressoché in tutte le patologie neurodegenerative. Tuttavia, nel cervello la rimozione delle scorie cellulari potenzialmente tossiche non è garantita dal sistema linfatico come nel resto dell'organismo, a causa della barriera ematoencefalica, che controlla strettamente ciò che entra ed esce dal cervello.
Lo scorso anno il gruppo di ricerca di Nedergaard aveva scoperto l'esistenza a livello cerebrale di un nuovo sistema che si comporta in modo molto simile a quello linfatico, controllando il flusso del liquido cerebrospinale attraverso l'azione delle cellule gliali (per questo, il sistema è stato battezzato "glinfatico").
L'ipotesi avanzata dai ricercatori era che durante il sonno il sistema glinfatico fosse più attivo. Grazie a nuove, sofisticate tecnologie di imaging, come la microscopia a due fotoni, i ricercatori hanno potuto osservare i moti del fluido cerebrospinale in vivo confermando che il sistema glinfatico è quasi dieci volte più attivo durante il sonno, e che mentre si dorme viene rimossa una quantità di proteina beta ammiloide significativamente più elevata di quanto avvenga da svegli.
Ma non solo: hanno scoperto che questo meccanismo di smaltimento dei rifiuti è estremamente energivoro: "Il cervello ha a propria disposizione solo una quantità limitata di energia; e a quanto pare si trova costretto a scegliere tra due diversi stati funzionali: essere sveglio e cosciente, o addormentato e dedito alle pulizie”, ha detto Nedergaard.
Un'altra sorprendente scoperta fatta nel corso della ricerca è che durante il sonno il flusso del liquido cerebrospinale negli spazi interstiziali del cervello aumenta del 60 per cento, come se le sue cellule in qualche modo si “stringessero” per permettere un lavaggio più efficace del tessuto cerebrale.
Fonte: lescienze.it
Permettere la ripulitura del cervello da scorie potenzialmente neurotossiche. Sarebbe questa la ragione per cui si è evoluto il sonno, secondo una ricerca condotta presso il Centro di neuromedicina dell'Università di Rochester diretto da Maiken Nedergaard, ora pubblicata su “Science”.
Tutti noi abbiamo bisogno di un adeguato numero di ore di sonno per “funzionare” bene il giorno successivo e mantenerci in salute. Tuttavia, le ragioni per cui dormiamo non sono state chiarite a fondo. Risultati recenti hanno dimostrato che il sonno aiuta a memorizzare e consolidare i ricordi, e a elaborare migliori schemi comportamentali. Per quanto importantissima, questa funzione non sarebbe in grado però di spiegare l'evoluzione del sonno: i soli benefici che essa comporta non sembrano infatti sufficienti a compensare il rischio legato alla vulnerabilità in cui ci si trova dormendo, né a spiegare adegiatamente i gravissimi sintomi che si manifestano in chi viene privato a lungo del sonno.
Per cercare di capire quale possa essere la funzione di base del sonno, nel nuovo studio i ricercatori hanno esaminato il cervello di un gruppo di topi - il cui sistema nervoso centrale è molto simile a quello degli esseri umani – alla luce di una recente scoperta fatta da Nedergaard e colleghi sul sistema di smaltimento dei rifiuti metabolici cerebrali.
La tempestiva rimozione di questi rifiuti è essenziale per evitare l'accumulo incontrollato di proteine tossiche, un fenomeno che si riscontra pressoché in tutte le patologie neurodegenerative. Tuttavia, nel cervello la rimozione delle scorie cellulari potenzialmente tossiche non è garantita dal sistema linfatico come nel resto dell'organismo, a causa della barriera ematoencefalica, che controlla strettamente ciò che entra ed esce dal cervello.
Lo scorso anno il gruppo di ricerca di Nedergaard aveva scoperto l'esistenza a livello cerebrale di un nuovo sistema che si comporta in modo molto simile a quello linfatico, controllando il flusso del liquido cerebrospinale attraverso l'azione delle cellule gliali (per questo, il sistema è stato battezzato "glinfatico").
L'ipotesi avanzata dai ricercatori era che durante il sonno il sistema glinfatico fosse più attivo. Grazie a nuove, sofisticate tecnologie di imaging, come la microscopia a due fotoni, i ricercatori hanno potuto osservare i moti del fluido cerebrospinale in vivo confermando che il sistema glinfatico è quasi dieci volte più attivo durante il sonno, e che mentre si dorme viene rimossa una quantità di proteina beta ammiloide significativamente più elevata di quanto avvenga da svegli.
Ma non solo: hanno scoperto che questo meccanismo di smaltimento dei rifiuti è estremamente energivoro: "Il cervello ha a propria disposizione solo una quantità limitata di energia; e a quanto pare si trova costretto a scegliere tra due diversi stati funzionali: essere sveglio e cosciente, o addormentato e dedito alle pulizie”, ha detto Nedergaard.
Un'altra sorprendente scoperta fatta nel corso della ricerca è che durante il sonno il flusso del liquido cerebrospinale negli spazi interstiziali del cervello aumenta del 60 per cento, come se le sue cellule in qualche modo si “stringessero” per permettere un lavaggio più efficace del tessuto cerebrale.
Fonte: lescienze.it
martedì 22 ottobre 2013
E il nobel 2013 per la medicina
l premio Nobel 2013 per la Medicina, il primo della serie a essere
annunciato, è stato assegnato a due studiosi americani, James Rothman e
Randy Schekman, nonchè al tedesco Thomas Sudhof per, si legge nella
motivazione, le loro scoperte sulle modalità di "controllo estremamente
preciso" con cui le cellule organizzano il sistema di "trasporto e
distribuzione del proprio carico". I tre scienziati si suddivideranno
una ricompensa da 8 milioni di corone svedesi, pari a oltre 918.000
euro.
Hanno scoperto il meccanismo con cui le cellule organizzano le loro attività all'interno e comunicano con l'ambiente che le circondano: tutto grazie ad un sistema vescicolare con cui molecole e proteine possono essere spostate da un compartimento all'altro della cellula, ad esempio per avere ulteriori complessazioni o per essere portate sulla membrana cellulare, oppure per liberare verso l'esterno sostanze e comunicare con le altre cellule come avviene con il rilascio dei neurotrasmettitori tra le cellule nervose nelle sinapsi.
È d'accordo sulla tripla assegnazione del premio Edoardo Boncinelli, genetista all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, secondo cui gli studi dei tre Nobel "rappresentano le fondamenta per chiarire i meccanismi cruciali nel funzionamento delle cellule e per contrastare un gran numero di patologie, come la fibrosi cistica e molte malattie del sistema nervoso". Boncinelli paragona l'importanza delle scoperte dei tre scienziati ai semafori in città: sono cioè fondamentali. Giuseppe Novelli, genetista e neo rettore dell'Università Tor Vergata di Roma, sottolinea che "è sulla base degli studi condotti da Schekman, Südhof e Rothman che oggi si poggiano le ricerche su alcune patologie come l'Alzheimer e il Parkinson, ma anche le ricerche che spiegano come nascono le emozioni".
Per questo Randy Wayne Schekman, James Rothman e Thomas Sudhof hanno vinto il Nobel per la Medicina. Randy Wayne Schekman (nato il 30 dicembre, 1948 ) è un biologo cellulare americano presso la Berkeley in California ex caporedattore della prestigiosa rivista Proceedings of National Academy of Sciences. I suoi studi di laboratorio si sono concentrati sulle descrizioni molecolari del processo di assemblaggio della membrana e del traffico vescicolare nelle cellule eucariotiche.
Nel 2002 ha ricevuto il premio Albert Lasker per la ricerca medica di base e il Louisa Gross Horwitz Prize della Columbia University insieme a James Rothman proprio per la loro scoperta del "traffico" della membrana cellulare, processo che le cellule usano per organizzare le loro attività e comunicare con il loro ambiente.
Nel 2013 è stato eletto membro straniero della Royal Society, con la seguente motivazione.
Thomas C. Sudhof (nato il 22 dicembre 1955 a Gottingen , Germania) è un biochimico noto per i sui studi sulla trasmissione sinaptica . Dal 1986, i suoi studi hanno chiarito molte delle principali proteine che mediano le funzioni presinaptiche. Il suo lavoro ha posto le basi per la nostra attuale comprensione scientifica del rilascio di neurotrasmettitore vescicola -mediata, e il suo lavoro continua concentra sulla specificità di sinaptogenesi e manutenzione sinaptica. Sudhof si trasferì negli Stati Uniti nel 1983, dove ha iniziato la formazione post-dottorato nel dipartimento di genetica molecolare presso l'Università del Texas Health Science Center a Dallas. Durante la sua borsa di studio post-dottorato, Sidhof lavorato per descrivere il ruolo del recettore LDL nel metabolismo del colesterolo, per cui Brown e Goldstein hanno ricevuto il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 1985. Nel 2008, si trasferisce alla Stanford University ed è attualmente Professore presso la Scuola di Medicina e Professore di Fisiologia Cellulare e Molecolare, Psichiatria e Neurologia. James E. Rothman (nato nel 1947), infine, è professore di Scienze Biomediche dell'Università di Yale e presidente del Dipartimento di Biologia Cellulare presso l'Università di Yale Medical School. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Louisa Gross Horwitz presso la Columbia University e il Premio Lasker Albert per la ricerca medica di base. Rothman ha iniziato la sua carriera presso il Dipartimento di Biochimica dell'Università di Stanford nel 1978. Era alla Princeton University dal 1988 al 1991 prima di venire a New York per fondare il Dipartimento di Biochimica e Biofisica Cellulare al Memorial Sloan -Kettering Cancer Center, dove è stato anche vice presidente. Rothman è membro della National Academy of Sciences. .
Hanno scoperto il meccanismo con cui le cellule organizzano le loro attività all'interno e comunicano con l'ambiente che le circondano: tutto grazie ad un sistema vescicolare con cui molecole e proteine possono essere spostate da un compartimento all'altro della cellula, ad esempio per avere ulteriori complessazioni o per essere portate sulla membrana cellulare, oppure per liberare verso l'esterno sostanze e comunicare con le altre cellule come avviene con il rilascio dei neurotrasmettitori tra le cellule nervose nelle sinapsi.
È d'accordo sulla tripla assegnazione del premio Edoardo Boncinelli, genetista all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, secondo cui gli studi dei tre Nobel "rappresentano le fondamenta per chiarire i meccanismi cruciali nel funzionamento delle cellule e per contrastare un gran numero di patologie, come la fibrosi cistica e molte malattie del sistema nervoso". Boncinelli paragona l'importanza delle scoperte dei tre scienziati ai semafori in città: sono cioè fondamentali. Giuseppe Novelli, genetista e neo rettore dell'Università Tor Vergata di Roma, sottolinea che "è sulla base degli studi condotti da Schekman, Südhof e Rothman che oggi si poggiano le ricerche su alcune patologie come l'Alzheimer e il Parkinson, ma anche le ricerche che spiegano come nascono le emozioni".
Silvio Garattini, direttore dell'Irccs di ricerche farmacologiche Mario
Negri di Milano, sottolinea che il meccanismo di trasporto delle
cellule è "fondamentale anche per capire il meccanismo d'azione di molti
farmaci, e per scoprirne e svilupparne di nuovi, perché le
vescicole-navicella possono anche diventare bersagli per lo sviluppo di
nuove medicine".
Per questo Randy Wayne Schekman, James Rothman e Thomas Sudhof hanno vinto il Nobel per la Medicina. Randy Wayne Schekman (nato il 30 dicembre, 1948 ) è un biologo cellulare americano presso la Berkeley in California ex caporedattore della prestigiosa rivista Proceedings of National Academy of Sciences. I suoi studi di laboratorio si sono concentrati sulle descrizioni molecolari del processo di assemblaggio della membrana e del traffico vescicolare nelle cellule eucariotiche.
Nel 2002 ha ricevuto il premio Albert Lasker per la ricerca medica di base e il Louisa Gross Horwitz Prize della Columbia University insieme a James Rothman proprio per la loro scoperta del "traffico" della membrana cellulare, processo che le cellule usano per organizzare le loro attività e comunicare con il loro ambiente.
Nel 2013 è stato eletto membro straniero della Royal Society, con la seguente motivazione.
Thomas C. Sudhof (nato il 22 dicembre 1955 a Gottingen , Germania) è un biochimico noto per i sui studi sulla trasmissione sinaptica . Dal 1986, i suoi studi hanno chiarito molte delle principali proteine che mediano le funzioni presinaptiche. Il suo lavoro ha posto le basi per la nostra attuale comprensione scientifica del rilascio di neurotrasmettitore vescicola -mediata, e il suo lavoro continua concentra sulla specificità di sinaptogenesi e manutenzione sinaptica. Sudhof si trasferì negli Stati Uniti nel 1983, dove ha iniziato la formazione post-dottorato nel dipartimento di genetica molecolare presso l'Università del Texas Health Science Center a Dallas. Durante la sua borsa di studio post-dottorato, Sidhof lavorato per descrivere il ruolo del recettore LDL nel metabolismo del colesterolo, per cui Brown e Goldstein hanno ricevuto il Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 1985. Nel 2008, si trasferisce alla Stanford University ed è attualmente Professore presso la Scuola di Medicina e Professore di Fisiologia Cellulare e Molecolare, Psichiatria e Neurologia. James E. Rothman (nato nel 1947), infine, è professore di Scienze Biomediche dell'Università di Yale e presidente del Dipartimento di Biologia Cellulare presso l'Università di Yale Medical School. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Louisa Gross Horwitz presso la Columbia University e il Premio Lasker Albert per la ricerca medica di base. Rothman ha iniziato la sua carriera presso il Dipartimento di Biochimica dell'Università di Stanford nel 1978. Era alla Princeton University dal 1988 al 1991 prima di venire a New York per fondare il Dipartimento di Biochimica e Biofisica Cellulare al Memorial Sloan -Kettering Cancer Center, dove è stato anche vice presidente. Rothman è membro della National Academy of Sciences. .
I premi nobel
Il premio Nobel per la medicina e la fisiologia del 2012 è stato attribuito a John B. Gurdon e Shinya Yamanaka per aver dimostrato con le loro ricerche la possibilità di riprogrammare cellule adulte in cellule staminali pluripotenti
L'Accademia di Stoccolma ha riconosciuto quest'anno il Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia a John B. Gurdon e Shinya Yamanaka, per i loro"studi sulle cellule staminali che hanno aperto le porte ad applicazioni cliniche di enorme importanza."
Il legame tra i due studiosi è quello che va dall'intuizione della nuova strada di ricerca e termina col suo perfezionamento.
Il biologo britannico John B. Gurdon è unanimemente riconosciuto come uno dei pionieri nella ricerca sulle staminali. Già nel 1962 scoprì, lavorando sulle rane, che la specializzazione delle cellule è un processo reversibile, cambiando uno dei dogmi della biologia dello sviluppo di allora. Egli riuscì a inserire il nucleo di una cellula intestinale matura in cellule uovo immature. La cellula così modificata diede poi origine a un girino.
Quarant'anni più tardi, Shinya Yamanaka, ha dimostrato in che modo cellule mature di topo possono essere riprogrammate per dare origine a cellule staminali immature. L'aspetto più sorprendente della ricerca, fu che bastò l'introduzione di soli pochi geni per riprogrammare le cellule mature in cellule staminali pluripotenti, in grado a loro volta di differenziarsi in tutte le cellule dell'organismo.
Inizialmente accolta con scetticismo, la scoperta di Gurdon dimostrò la sua validità e fu successivamente applicata e confermata nei mammiferi. Rimaneva solo una questione, cruciale tuttavia per le applicazioni cliniche: lo stesso processo di riprogrammazione poteva essere indotto in cellule intatte, cioè senza inserire il nucleo di un'altra cellula?
Che la risposta fosse affermativa si è scoperto solo nel 2006, grazie agli studi di Yamanaka, il quale, una volta individuati i geni in grado di mantenere le cellule staminali embrionali in vitro nel loro stato di pluripotenza, è riuscito a utilizzare quegli stessi geni per riprogrammare cellule mature e farle diventare pluripotenti.
Chi è John B. Gudron
La fortunata linea di ricerca di John Bertrand Gurdon, classe 1933, inizia nel 1958, quando, nell’ambito del PhD in zoologia presso l’Università di Oxford, nel Regno Unito, riesce a trapiantare il nucleo di una cellula somatica di rana del genere Xenopus, sulla falsariga di un analogo lavoro di Robert Briggs di sei anni prima con cellule di blastula. Negli anni successivi, le ricerche vennero perfezionate fino al risultato del 1962, pubblicato sul “Journal of embryology and experimental morphology”. La discussione generata dal risultato porta, tra l’altro, alla prima utilizzazione nota del termine “clone”, rimasta in voga da allora in campo biomedico.
Fino al 1971 rimane a lavorare a Oxford, dove sviluppa la tecnica di microiniezione di molecole di RNA messaggero, largamente utilizzata negli anni successivi, in ovociti di Xenopus al fine di identificare le proteine codificate e la loro funzione. Successivamente si trasferisce all’Università di Cambridge, prima al Dipartimento di Biologia molecolare poi, a partire dal 1983, a quello di Zoologia. Negli ultimi due decenni, le sue ricerche si sono focalizzate sui fattori di segnalazione intercellulare che portano alla differenziazione delle cellule e sulla riprogrammazione dei nuclei trapiantati, tra cui la demetilazione del DNA.
Nella sua lunga carriera, Gurdon ha fatto parte di numerosi istituti di ricerca, tra cui il Wellcome/CRC Institute for Cell Biology and Cancer, di cui è stato direttore fino al 2001, ed è stato membro del Nuffield Council on Bioethics, tra il 1991 e il 1995, nonché del Magdalene College di Cambridge, tra il 1995 e il 2002. In suo onore, l’Istituto di Biologia cellulare del Wellcome Trust/Cancer Research è stato ribattezzato Gurdon Intitute nel 2004. Nel 2009 è stato insignito del Premio Albert Lasker for Basic Medical Research.
Chi è Shinya Yamanaka
Nato nel 1962, Shinya Yamanaka ha dedicato la sua carriera alla ricerca sulle cellule staminali adulte. Laureatosi in medicina all’Università di Kobe e conseguito il PhD all’Università di Osaka, ha condotto i suoi studi e insegnato in numerosi istituti e università giapponesi e non: Gladstone Institute of Cardiovascular Disease dell’Università della Californa a San Francisco (1993-1995), Università di Osaka (1996-1999), Nara Institute of Science and Technology (199-2003) Institute for Frontier Medical Sciences (2004-2010). Attualmente è direttore del Center for iPS Cell Research and Application dell’Università di Kyoto.
Nel 2006 è avvenuta la pubblicazione del risultato che gli è valso la fama scientifica, oltre al Premio Nobel appena attribuito: la generazione di cellule staminali pluripotenti a partire da fibroblasti adulti di topo. Nel 2007, l’ulteriore, fondamentale progresso, con la replicazione del risultato con fibroblasti adulti umani.
martedì 15 ottobre 2013
Comprendere l'Ansia
Da uno studio della dott.ssa Tina Calbi
L’ansia non è solo un limite o un disturbo, ma riconosciuta e analizzata può diventare uno strumento di analisi di se stessi ed essere UTILIZZATA come una RISORSA.
Almeno un terzo della popolazione mondiale ha avuto o potrà avere un disturbo d’ansia nel corso della propria vita.
Questo perché l’ansia è una condizione FISIOLOGICA, utile in molti momenti della vita.
E’ UTILE a proteggerci dai rischi, a mantenere lo stato di allerta, a migliorare le prestazioni.
L’ansia BUONA, fisiologica e funzionale rappresenta una sollecitazione che ci muove e ci fa selezionare gli stimoli con maggiore attenzione.
In realtà non potremmo vivere senza ansia e senza di essa molte emozioni sarebbero più sbiadite, meno intense e suggestive. Pensiamo ad un incontro con una persona che ci attrea e ci interessa e al corollario di emozioni che accompagna questo evento…
L’ansia può essere quindi uno STRUMENTO o un LIMITE a seconda dell’USO che ne facciamo o del modo in cui la viviamo.
L' ansia è una risposta sostanzialmente fisiologica ad una sollecitazione interna o esterna che il cervello riceve.
La percezione che normalmente si ha dell'ansia è, nel linguaggio comune, di qualcosa di fastidioso, che procura disagio o addirittura sofferenza nell'individuo.
Ogni giorno almeno dieci persone ci rispondono alla fatidica domanda "Come stai?" con una risposta che ci fa capire che sono ansiosi.
"Sto correndo per non perdere l'autobus" ,
"Ho un appuntamento tra dieci minuti" ,
"Voglio arrivare in tempo per federe la partita" ,
"Scusa, ma mi chiudono i negozi" , oppure
"Domani ho un esame, chissà…" .
Tutti questi nostri amici e noi stessi sappiamo che per realizzare tutte quelle cose abbiamo assolutamente bisogno di una spinta, di una sollecitazione che ci muove e ci fa selezionare gli stimoli con attenzione.
In realtà non potremmo vivere senza ansia: immaginiamoci ad attraversare la strada, ad aprire una porta in risposta al campanello, a prepararci per un esame.
Senza l'ansia tutti questi comportamenti non potrebbero prevedere la capacità d'adattamento per rispondere ad uno stimolo che compare,talvolta d'improvviso a modificare i nostri equilibri, mentre altre volte lo conosciamo in anticipo e dobbiamo solo organizzarci.
Esiste quindi una condizione connaturata con l'individuo, fatta di attese, di preparazione, di sforzo, che fornisce una risposta a ciò che internamente o esternamente ci sollecita.
L'ansia nasce quindi anche dai ricordi o dalle emozioni, dalla elaborazione di quello che ci è successo in passato o che potrà accaderci in futuro.
E poi c'è quella forma di ansia del tutto sconosciuta e maldestra, che proviene dall'inconscio, che non sappiamo razionalizzare e che ci attanaglia perché sfugge ad ogni identificazione.
Paradossalmente questa condizione di tensione è quella che corrisponde all'equilibrio.
Non potremmo vivere senza questa situazione squilibrata di equilibrio.
Eppure il più delle volte non ce ne rendiamo conto:
ci aspetteremmo che il benessere venga dall'assenza di stimoli, mentre questa condizione ideale corrisponde solo alla "non esistenza" .
Il sonno stesso, ritenuto come una condizione di allontanamento dagli stimoli esterni, è invece un immenso crocevia di sollecitazioni inconsce e di elaborazioni necessarie per la vita della nostra esistenza.
Bisogna quindi effettuare una sostanziale divisione tra ansia fisiologica o normale e ansia patologica.
L'elemento che li distingue è la percezione che noi riceviamo dal cervello e dal corpo che lo stato di attesa è solo un punto di passaggio, un ponte capace di farci nuovamente reagire, che ci rende pronti ad una sollecitazione che ci stimola.
La differenza fondamentale tra la normalità e la malattia dell'ansia consiste quindi nella percezione di disagio che proviamo quando siamo di fronte alla tensione, alla preoccupazione, al malessere che sentiamo in assenza di stimoli esterni o interni.
È ansia quindi il sentirci pronti a reagire anche quando non avremmo motivo o bisogno di essere reattivi, quando siamo pronti a scattare e nulla ci allarma, quando proviamo una serie di segni fisici o psicologici anche se potremmo sentirci tranquilli e rilassati. E quando tutto ciò agisce dolorosamente sia su di noi che su quelli che a noi stanno vicini.
Negli ultimi 30 anni si è potuto verificare come almeno un terzo della popolazione mondiale ha avuto o potrà avere un disturbo d'ansia nella loro vita:si è sempre pensato che i traumi psicologici potessero essere all'origine dei disturbi d'ansia mentre ora sappiamo con certezza che , nella maggior parte dei casi l'origine dell'ansia va addebitata sostanzialmente ad un disturbo, ad una malattia del cervello.
Quest'impostazione non esclude la componente psicologica, né quella ambientale, sociale o educativa.
Andiamo incontro ad un'integrazione, in cui dovremo accettare che anche i disturbi psicologici, come quelli fisici sono il risultato di una d'integrazione tra il nostro corpo e la nostra mente.
L'ansia è dunque il crocevia tra come siamo fatti e come il mondo estremo interagisce con noi.
Il risultato è che non potremo mai sperare di vivere senza ansia per quanto le regole impegnative del mondo ci impongono degli adattamenti a cui tentiamo di opporre una resistenza: è proprio il risultato di questo sforzo che caratterizza il rischio di soffrire per l'ansia.
Il GAD (DISTRUBO D'ANSIA GENERALIZZATA)è caratterizzato da un costante, e peraltro ingiustificato, senso di preoccupazione verso qualsiasi evento che raggiunge una tale gravità da causare una sintomatologia che persiste per almeno sei mesi.
I sintomi che possono comparire in questa patologia sono:
costante inquietudine: i soggetti temono il peggio e non possono controllare il loro stato d'ansia e di apprensione
dolori muscolari aumento dello stato di vigilanza
insonnia
difficoltà di concentrazione
sudorazione, tachicardia, vertigini, diarrea, ecc
cefalea
Questo disturbo può compromettere la qualità di vita delle persone che ne sono affette poiché esse vivono in uno stato di tensione continua:
si preoccupano non solo per gli eventi quotidiani della vita, per lo stress a cui sono sottoposti ma per qualsiasi cosa: i familiari, la salute, la situazione economica, il lavoro, il mondo che li circonda.
Un senso di ansia, a volte vago, altre greve, accompagna immancabilmente questi soggetti.
Sono irrequieti, tesi, hanno difficoltà a concentrarsi, per quanto stanchi non riescono a sedersi, non riescono a riposare.
La naturale conseguenza è un progressivo isolamento, prima dagli amici, poi dal lavoro, riducendo al minimo le proprie attività.
Alcuni sviluppano un episodio di depressione maggiore per cui si rivolgono allo specialista, altri, preoccupati per la loro salute, iniziano iter diagnostici e terapeutici dispendiosi e del tutto inutili Se non riconosciuto e curato, il disturbo d'ansia generalizzato può protrarsi per molti anni riacutizzandosi nei momenti di maggiore stress.
ANSIA
L’ansia non è solo un limite o un disturbo, ma riconosciuta e analizzata può diventare uno strumento di analisi di se stessi ed essere UTILIZZATA come una RISORSA.
Almeno un terzo della popolazione mondiale ha avuto o potrà avere un disturbo d’ansia nel corso della propria vita.
Questo perché l’ansia è una condizione FISIOLOGICA, utile in molti momenti della vita.
E’ UTILE a proteggerci dai rischi, a mantenere lo stato di allerta, a migliorare le prestazioni.
L’ansia BUONA, fisiologica e funzionale rappresenta una sollecitazione che ci muove e ci fa selezionare gli stimoli con maggiore attenzione.
In realtà non potremmo vivere senza ansia e senza di essa molte emozioni sarebbero più sbiadite, meno intense e suggestive. Pensiamo ad un incontro con una persona che ci attrea e ci interessa e al corollario di emozioni che accompagna questo evento…
L’ansia può essere quindi uno STRUMENTO o un LIMITE a seconda dell’USO che ne facciamo o del modo in cui la viviamo.
L' ansia è una risposta sostanzialmente fisiologica ad una sollecitazione interna o esterna che il cervello riceve.
La percezione che normalmente si ha dell'ansia è, nel linguaggio comune, di qualcosa di fastidioso, che procura disagio o addirittura sofferenza nell'individuo.
Ogni giorno almeno dieci persone ci rispondono alla fatidica domanda "Come stai?" con una risposta che ci fa capire che sono ansiosi.
"Sto correndo per non perdere l'autobus" ,
"Ho un appuntamento tra dieci minuti" ,
"Voglio arrivare in tempo per federe la partita" ,
"Scusa, ma mi chiudono i negozi" , oppure
"Domani ho un esame, chissà…" .
Tutti questi nostri amici e noi stessi sappiamo che per realizzare tutte quelle cose abbiamo assolutamente bisogno di una spinta, di una sollecitazione che ci muove e ci fa selezionare gli stimoli con attenzione.
In realtà non potremmo vivere senza ansia: immaginiamoci ad attraversare la strada, ad aprire una porta in risposta al campanello, a prepararci per un esame.
Senza l'ansia tutti questi comportamenti non potrebbero prevedere la capacità d'adattamento per rispondere ad uno stimolo che compare,talvolta d'improvviso a modificare i nostri equilibri, mentre altre volte lo conosciamo in anticipo e dobbiamo solo organizzarci.
Esiste quindi una condizione connaturata con l'individuo, fatta di attese, di preparazione, di sforzo, che fornisce una risposta a ciò che internamente o esternamente ci sollecita.
L'ansia nasce quindi anche dai ricordi o dalle emozioni, dalla elaborazione di quello che ci è successo in passato o che potrà accaderci in futuro.
E poi c'è quella forma di ansia del tutto sconosciuta e maldestra, che proviene dall'inconscio, che non sappiamo razionalizzare e che ci attanaglia perché sfugge ad ogni identificazione.
Paradossalmente questa condizione di tensione è quella che corrisponde all'equilibrio.
Non potremmo vivere senza questa situazione squilibrata di equilibrio.
Eppure il più delle volte non ce ne rendiamo conto:
ci aspetteremmo che il benessere venga dall'assenza di stimoli, mentre questa condizione ideale corrisponde solo alla "non esistenza" .
Il sonno stesso, ritenuto come una condizione di allontanamento dagli stimoli esterni, è invece un immenso crocevia di sollecitazioni inconsce e di elaborazioni necessarie per la vita della nostra esistenza.
Bisogna quindi effettuare una sostanziale divisione tra ansia fisiologica o normale e ansia patologica.
L'elemento che li distingue è la percezione che noi riceviamo dal cervello e dal corpo che lo stato di attesa è solo un punto di passaggio, un ponte capace di farci nuovamente reagire, che ci rende pronti ad una sollecitazione che ci stimola.
La differenza fondamentale tra la normalità e la malattia dell'ansia consiste quindi nella percezione di disagio che proviamo quando siamo di fronte alla tensione, alla preoccupazione, al malessere che sentiamo in assenza di stimoli esterni o interni.
È ansia quindi il sentirci pronti a reagire anche quando non avremmo motivo o bisogno di essere reattivi, quando siamo pronti a scattare e nulla ci allarma, quando proviamo una serie di segni fisici o psicologici anche se potremmo sentirci tranquilli e rilassati. E quando tutto ciò agisce dolorosamente sia su di noi che su quelli che a noi stanno vicini.
Negli ultimi 30 anni si è potuto verificare come almeno un terzo della popolazione mondiale ha avuto o potrà avere un disturbo d'ansia nella loro vita:si è sempre pensato che i traumi psicologici potessero essere all'origine dei disturbi d'ansia mentre ora sappiamo con certezza che , nella maggior parte dei casi l'origine dell'ansia va addebitata sostanzialmente ad un disturbo, ad una malattia del cervello.
Quest'impostazione non esclude la componente psicologica, né quella ambientale, sociale o educativa.
Andiamo incontro ad un'integrazione, in cui dovremo accettare che anche i disturbi psicologici, come quelli fisici sono il risultato di una d'integrazione tra il nostro corpo e la nostra mente.
L'ansia è dunque il crocevia tra come siamo fatti e come il mondo estremo interagisce con noi.
Il risultato è che non potremo mai sperare di vivere senza ansia per quanto le regole impegnative del mondo ci impongono degli adattamenti a cui tentiamo di opporre una resistenza: è proprio il risultato di questo sforzo che caratterizza il rischio di soffrire per l'ansia.
Il GAD (DISTRUBO D'ANSIA GENERALIZZATA)è caratterizzato da un costante, e peraltro ingiustificato, senso di preoccupazione verso qualsiasi evento che raggiunge una tale gravità da causare una sintomatologia che persiste per almeno sei mesi.
I sintomi che possono comparire in questa patologia sono:
costante inquietudine: i soggetti temono il peggio e non possono controllare il loro stato d'ansia e di apprensione
dolori muscolari aumento dello stato di vigilanza
insonnia
difficoltà di concentrazione
sudorazione, tachicardia, vertigini, diarrea, ecc
cefalea
Questo disturbo può compromettere la qualità di vita delle persone che ne sono affette poiché esse vivono in uno stato di tensione continua:
si preoccupano non solo per gli eventi quotidiani della vita, per lo stress a cui sono sottoposti ma per qualsiasi cosa: i familiari, la salute, la situazione economica, il lavoro, il mondo che li circonda.
Un senso di ansia, a volte vago, altre greve, accompagna immancabilmente questi soggetti.
Sono irrequieti, tesi, hanno difficoltà a concentrarsi, per quanto stanchi non riescono a sedersi, non riescono a riposare.
La naturale conseguenza è un progressivo isolamento, prima dagli amici, poi dal lavoro, riducendo al minimo le proprie attività.
Alcuni sviluppano un episodio di depressione maggiore per cui si rivolgono allo specialista, altri, preoccupati per la loro salute, iniziano iter diagnostici e terapeutici dispendiosi e del tutto inutili Se non riconosciuto e curato, il disturbo d'ansia generalizzato può protrarsi per molti anni riacutizzandosi nei momenti di maggiore stress.
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