mercoledì 3 aprile 2013

Terza età: chi sono gli anziani?

ANZIANI IN FAMIGLIA E FAMIGLIA DI ANZIANI  

2.2.1: ANZIANI CHI SONO
Gli anziani rappresentano il 21%  della  popolazione  secondo una statistica del 94 e confermata negli anni successivi (fonte ISTAT). L’età di un individuo dipende da fattori biologici ma anche sociali e psicologici, ad esempio eventi di perdita o nel primo caso patologie, determinano un invecchiamento precoce. Quindi dato che l’età anagrafica spesso non coincide con l’età psicologica è difficile dare un definizione di anziano ma gerontologi e geriatri concordano nel definire una persona anziana colei della quale, in base ai fattori sopracitati si può supporre che abbia davanti a sé 10 anni di speranza di vita.
Altre correnti di pensiero affermano che l’età senile inizi a 65 anni e si distingua in due fasi: la prima “anziana” ( dai 65 ai 75 anni ) la seconda “vecchia” ( dai 75 anni in poi ).
Parte dei sociologi di oggi considerano la vecchiaia una “invenzione sociale”; il pensionamento comporta una perdita di potere e di prestigio e sena l’inizio dell’età anziana; chi non è più giovane rischia di diventare socialmente invisibile e di essere vittima di pregiudizi e stereotipi spesso infondati. La popolazione anziana è eterogenea e si divide in due fasi: la terza età in cui rientrano prevalentemente anziani autonomi, attivi e in buone condizioni di salute e inizia intorno ai 60-65 anni, si tende a dare di tale età un’immagine positiva, il demografo Peter Laslett la considera “il coronamento della vita”, perché le persone, libere ormai da impegni familiari e lavorativi, ma ancora vigoroso sul piano fisico, possono dedicarsi alla realizzazione personale. Segue la quarta età, che segna generalmente l’inizio del decadimento fisico: in essa rientrano i vecchi e i molto vecchi spesso in precario o cattivo stato di salute o addirittura in condizioni di dipendenza parziale o totale dagli altri (inizia intorno ai 75-80 anni).
L’Italia, la Germania e il Giappone sono i Paesi dell’area occidentale a più intenso e rapido invecchiamento.


ANZIANI A PIACENZA
Nel territorio piacentino, confrontando statistiche dell’81 con quelle più aggiornate del 96 si nota un cambiamento della percentuale di popolazione rispetto alle fasce d’età. In particolare si rileva un aumento degli anziani, la situazione è la stessa sia nel capoluogo che nei Comuni della provincia in pianura e in collina. Nelle zone di montagna, invece, la situazione è leggermente differente perché la classe anziana è aumentata conseguentemente all’allungamento della vita  e alla usuale scarsità della classe giovane.
  
2.2.2: DOVE VIVONO
DISTRIBUZIONE TERRITORIALE
In Italia notiamo una maggior percentuale di anziani al Centro - Nord rispetto al mezzogiorno. Dai dati ISTAT del 96 si rileva che la Campania è la regione con la popolazione più giovane, mentre Liguria ed Emilia Romagna con quella più vecchia. Si evidenziano differenze tra gli anziani che vivono nei grandi centri e quelli che abitano nei piccoli: per i primi c’è il vantaggio di una maggior offerta di servizi da parte del Comune e degli Enti, ma svantaggi per quanto riguarda le condizioni ambientali non adeguate o alle spese maggiori necessarie per vivere; i secondi invece possono usufruire di minori servizi ma godono di una maggior tranquillità e di migliori condizioni ambientali. In base ai dati del censimento del 91 gli anziani ultra sessantacinquenni sono il 15% della popolazione, ma la loro quota varia da zona a zona: il maggior invecchiamento si ha nel centro e nel nord. E’ in aumento il numero degli ultra sessantacinquenni che vivono soli, sono più numerosi in Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia, ma anche in alcune zone del sud. Queste differenze probabilmente si spiegano col fatto che nelle regioni del sud l’emigrazione ha allontanato i figli dai genitori, rimasti soli, mentre in quelle del centro la famiglia estesa, in cui convivono tre generazioni è più diffusa che altrove. Ampie differenze si ritrovano anche nelle grandi città, fra centri storici (più vecchi) e periferie (più giovani).
 LA REALTA’ NEL PIACENTINO
Il numero egli anziani che vivono da soli aumenta col crescere dell’età, di conseguenza quelli che vivono in famiglia diminuiscono. Infatti dagli 80 anni in avanti un anziano su due non vive più con la famiglia, ma da solo o in istituto. Nel capoluogo il numero maggiore di anziani vive nelle circoscrizioni 1 e 3, infatti nel centro storico si trova il maggior numero di anziani che vivono da soli. Nella 2 e 4, anche se con tipologie familiari simili, il numero di anziani è inferiore.
Circoscrizione cittadina 1  v. Taverna
“                “        2  v. Trebbia
“                “        3  v. M. della Resistenza
“                “        4  Centro Civico Farnesiana

ANZIANI IN FAMIGLIA E FAMIGLIE DI ANZIANI
Il benessere degli anziani è legato al contesto familiare, poiché la famiglia rappresenta il contesto entro il quale essi possono continuare ad esercitare un ruolo attivo, ricevendo sostegno, aiuto ed assistenza. E’ in famiglia che l’anziano passa la maggior parte delle giornate, visto il ridursi della mobilità in relazione all’aumentare dell’età. Gli uomini preferiscono vivere in coppia, mentre le donne, se non hanno qualche figlio che si ferma nella famiglia d’origine, vivono sole, per poi entrare a far parte, in alcuni casi, della famiglia del figlio. All’aumentare dell’età, per effetto della vedovanza, aumenta il numero di coloro che si trovano sole, mentre diminuisce il numero di coloro che vivono in coppia. Ciò è particolarmente evidente per la donna che ha statisticamente sette anni di speranza di vita in più rispetto all’uomo e del quale è generalmente più giovane. Con l’età cresce anche la quota dei membri aggregati, ovvero le persone che vivono insieme a una o più nuclei familiari, senza farne parte (anziano nella famiglia del figlio). L’aumento è evidente per gli ultra settantacinquenni, quando diminuisce l’autosufficienza. Poco più di un terzo delle donne fino a 74 anni vive ancora la fase del “nido vuoto”, cioè l’uscita dei figli dalla famiglia, mentre, a partire dai 75 anni, quasi la metà vive sola. Diversamente, gli uomini fino ai 64 anni vivono con moglie e figli, dai 65 ai 74 in coppia senza figli e vi permangono anche dopo i 75, è chiaro quindi che per gli uomini è meno probabile vivere una fase della vita da soli. La funzione parentale nell’età anziana si inverte: i genitori devono sopportare di dipendere dai propri figli e i figli di età matura di farsi carico dei genitori che perdono sempre più rapidamente la propria autonomia. Questa è una situazione che nella realtà coglie di sorpresa tutte le famiglie, infatti nessuno sa quando e come si instaurerà il rapporto di dipendenza. L’invecchiamento generale della popolazione rende sempre più frequente questo stato di dipendenza relativo o totale. I figli maschi riescono ad organizzarsi meglio e a trovare aiuti complementari, mentre le figlie si colpevolizzano e si preoccupano maggiormente di assistere personalmente i genitori e in particolare la madre: fra madre e figlia la dipendenza affettiva rafforza le richieste materiali. I genitori cominciano a invecchiare quando cessano di essere una risorsa per le difficoltà dei figli; questo stato di dipendenza è irreversibile: diviene ogni giorno più forte e implica crisi sorde o manifeste. L’età a cui un anziano perde la propria autonomia varia da una persona all’altra: la memoria si affievolisce, i problemi finanziari e amministrativi diventano più complessi, la mobilità rallenta, gli interessi diminuiscono. Questa perdita dei mezzi che consentivano una vita adulta e responsabile è accompagnata da paura, angoscia e da una richiesta affettiva profonda in cui si associano il desiderio di rimanere padroni in casa propria e l’esigenza quasi infantile di presenza e di protezione. La crisi, che può essere il prodotto di un graduale processo o improvvisa accompagnata o meno da cambiamenti sia nell’anziano che nei figli, si manifesta sempre come una frattura e costringe la famiglia a riorganizzarsi. Lo stesso tipo di evoluzione  imprevedibile che si nota nel periodo dell’adolescenza dei figli si riscontra anche nei periodi di invecchiamento rapido e rende inevitabile una modificazione dell’organizzazione familiare. L’unità familiare è quindi vissuta nella lotta, nella lacerazione, nel senso di incomprensione reciproca; il motto potrebbe essere:“ l’unione è una lotta”. Le famiglie di quattro o cinque generazioni hanno la fortuna di vivere rapporti fruttuosi tra le generazioni; condividono esperienze, affetto e sviluppano un’identità familiare forte e stabile. Il gruppo familiare è considerato una risorsa in grado di controbilanciare l’aumento delle spese sanitarie e la gestione delle malattie croniche. Oltre a un milione di famiglie hanno un anziano bisognoso di una precisa assistenza per le attività della vita corrente; cinque milioni di persone si occupano in permanenza di un genitore anziano. In una famiglia c’è generalmente una persona che si incarica dell’assistenza, aiutata o meno da altre. Un paziente è per lo più assistito dalla moglie, mentre una paziente è curata dalla figlia o dalla nuora. Le donne continuano a imporsi questo ruolo di assistenza nella propria famiglia, un gran numero di loro deve riuscire a integrare il proprio lavoro con questo impegno supplementare. Per l’assistenza che esige la malattia cronica crea un legame fortissimo tra il paziente e la persona che se ne occupa. Il terapeuta deve essere consapevole di questa possibilità di rapporto e del suo impatto sugli altri componenti della famiglia. Bisogna esaminare l’organizzazione familiare per capire se sono necessari dei cambiamenti che permetteranno di aumentare elasticità familiare per evitare la restrizione dei ruoli o semplificare i compiti. Si devono analizzare le aspettative dei membri della famiglia, perché certe donne hanno bisogno di modificare la propria visione della responsabilità: ampliare tale visione consentirà di includere altre persone nella gestione dell’assistenza.
 BISOGNI DELL’ANZIANO E DELLA SUA FAMIGLIA A PIACENZA
Secondo un’analisi svolta sul territorio piacentino, si è rilevato che i bisogni principali degli anziani e dei caregivers sono riconducibili a diversi filoni, ad esempio sostegni economici per coprire le spese. In secondo luogo è presente il bisogno relativo all’assistenza; altrettanto frequenti sono le risposte relative al bisogno di compagnia, dialogo, amicizia, rispetto. Anche i caregivers denunciano carenze nell’aspetto assistenziale, nel senso del sostegno di strutture pubbliche, in particolare nei casi di emergenza; sottolineano inoltre il bisogno di compagnia, alcuni ricordano la necessità di aiuto materiali, anche per l’acquisto di medicinali. Di conseguenza i caregivers hanno la necessità di avere più libertà, avere alcune ore libere o momenti per riposarsi, poiché l’assistenza è pesante, sia a livello fisico che psicologico, ciò è supportato dal livello di stress medio - alto riscontrato nei caregivers. Gli anziani ritengono di essere utili alla loro famiglia, alle persone che sono loro vicine e alla società “aiutando gli altri, dando consigli, ascoltando, assistendo altre persone e facendo compagnia, nella cura dei bambini”; infine è stato osservato che gli anziani possono essere utili “finché stanno bene”. Una buona parte del campione svolge qualche piccola attività di aiuto o gestione del proprio quotidiano, ad esempio piccoli lavori domestici e di cucina, soltanto una minoranza svolge attività di volontariato. Gli anziani nominano tra le persone che gli aiutano per le loro necessità in primo luogo le figure familiari, quindi i figli conviventi e non, poi i nipoti, parenti e il coniuge; solo una piccola parte cita anche l’assistente domiciliare e un aiuto a pagamento.

 VALORIZZAZIONE DELLA CASA E DELLA FAMIGLIA
Con il tempo un anziano accumula sentimenti, sclerotizza i rapporti, cristallizza le abitudini e non riesce più a gestire positivamente il rapporto con la famiglia, che dà le regole di un legame non più alla pari. Non bisogna colpevolizzare le famiglie che sopportano il peso, in particolare di un anziano non autosufficiente, che dovrebbe essere più sostenuta dai servizi  pubblici. Si richiede, quindi, un concreto impegno di solidarietà, che dovrebbe iniziare all’interno della famiglia stessa: essa si qualifica come comunità di lavoro e di solidarietà. Può accadere in molti casi che quando la famiglia decide di affrontare il problema, si può trovare priva dell’appoggio necessario da parte dei Servizi ed Enti pubblici. Sia i familiari rimasti vicino all’anziano, che quelli scomparsi o lontani sono presenti nella sua vita e la influenzano in modo profondo.

 FAVORIRE LA FAMIGLIA, I CENTRI DIURNI E LE PICCOLE RESIDENZE
La famiglia deve essere intesa come ambito affettivo relazionale e non ridotta ai soli rapporti giuridici tra parenti. In questo periodo sono di grande rilievo anche le esperienze di convivenza, che ricostruiscono anche il rapporto familiare anche tra persone anziane e giovani che non si erano conosciute prima: questa famiglia è ricca di relazioni affettive dotate di senso. La scelta di proporre soluzioni di sostegno o di sostituzione alla famiglia nell’assistenza, per esempio centri diurni e piccole case alloggio, cerca di salvaguardare i desideri e i bisogni della famiglia. Il rifiuto di un ricovero in istituto nasce spesso dalla convinzione che sia impossibile aver cura dell’anziano in un ambiente inadatto, infatti questa scelta tende a custodire più che a curare. In qualsiasi soluzione la famiglia intera deve essere coinvolta; è sempre più frequente il caso di figli che scelgono di partecipare alla cura e all’assistenza dei genitori, si realizzano nuove esperienze di famiglie composte da persone giovani e anziane che condividono la loro casa. Sono comunque da incoraggiare tutte le forme di sostegno alle famiglie che scelgono di occuparsi direttamente dell’anziano in difficoltà.

 RISCHI DELL’ISTITUTO
Qualche tempo fa assicurare all’anziano un futuro in istituto era considerato atto di solidarietà, mentre oggi per molti non è così: l’istituto riduce, anziché allargare, le speranze di vita. Si deve far di tutto per curare a casa, infatti si è notato che all’interno degli istituti è presente il fenomeno di morti premature; soprattutto quando il trasferimento è attuato senza la volontà e la consapevolezza dell’anziano, gli esiti possono essere molto pesanti. Il cambiamento di domicilio si accompagna all’abbandono definitivo della propria casa: ciò comporta la rottura di legami affettivamente significativi. Cambiare la residenza contro la propria volontà rappresenta un rischio di primaria importanza per la salute dell’anziano.
 FAMIGLIE DI ANZIANI
Il processo di invecchiamento ha prodotto un incremento delle famiglie composte d soli anziani, ciò determina la cosi detta segregazione generazionale, ovvero la tendenza a chiudersi in sé stessi e/o a limitare a limitare i contatti con persone di altre generazioni. L’incidenza delle famiglie uni personali  è via via più alta al  crescere dell’età anziana. Le famiglie di anziani sono più presenti nell’Italia Nord - Occidentale e meno nelle isole. Nelle famiglie senza anziani dominano le coppie con figli, nelle famiglie anziane predominano gli anziani soli.
 ANZIANO DA SOLO
Secondo i dati ISTAT del 94 gli ultra sessantacinquenni soli sono in complesso circa 2.500.000, gli uomini sono intorno al mezzo milione, le donne circa 2.000.000. Gran parte degli uomini di 60 anni e oltre vive insieme alla moglie la fase conclusiva della propria vita; la quota di coloro che vivono soli  cresce progressivamente con l’età. Per le donne la condizione di solitudine è più precoce e più diffusa; sia per gli uomini che per le donne, ma in misura molto maggiore per queste ultime, l’approssimarsi della quarta età coincide con il periodo della vita in cui è più probabile vivere da soli. Quando l’autonomia si riduce o vien meno, aumenta per gli uni e per le altre la probabilità di andare a vivere con la famiglia dei figli. Gli squilibri nella durata della vita tra uomini e donne espongono queste ultime a vivere più frequentemente esperienze dolorose e difficili, quali il lutto e la solitudine nella fase finale della vita. Tuttavia anche a tarda età la propensione per una vita indipendente è ancora forte: gli anziani soli hanno uno stato di salute migliore e in grado di autonomia superiore rispetto a quelli che vivono con i figli o con altri parenti. Questo significa che solo quando si verifica un serio deterioramento delle condizioni fisiche e psichiche la vita da soli viene sostituita dalla convivenza con altri familiari. La crescente propensione degli anziani a vivere soli si spiega in parte con il miglioramento del tenore di vita connesso alo sviluppo delle politiche di sicurezza sociale, ma anche con un cambiamento culturale che incoraggia l’indipendenza e la conservazione della privacy degli anziani. E’ stata sottolineata la centralità delle relazioni familiari nella vita degli anziani: con l’avanzare degli anni un numero sempre più elevato di persone sole risiede vicino ai figli o nello stesso caseggiato. Più vicino abitano figli, parenti e amici, più frequenti sono le loro visite. Gli anziani soli ricevono aiuti in misura maggiore rispetto agli anziani che convivono con altri. Vi è però una reciprocità dello scambio tra le generazioni: fino alla soglia della quarta età, aiuti dati e ricevuti si bilanciano; poi, con l’avanzare dell’età, naturalmente quelli ricevuti prevalgono su quelli dati. L’aiuto e il sostegno dei familiari sono probabilmente, per molti anziani, nella quarta età, una condizione necessaria per poter continuare a vivere da soli. Secondo un’indagine del 93, tra i Paesi della CEE, l’Italia è quello in cui gli anziani soli hanno rapporti più frequenti con i familiari: il 71% di essi ha contatti quotidiani. La solidarietà familiare, materiale e non, è molto più sviluppata in Italia e negli altri Paesi mediterranei. Questa situazione presenta per gli anziani vantaggi e limiti: una presumibile maggior dose di calore umano e di affettività nelle relazioni sociali e di sostegno, che copre però serie carenze degli interventi pubblici, con il risultato che, quando la solidarietà familiare viene meno o non è in grado di far fronte a gravi bisogni, il rischio di povertà diventa concreto per un certo numero di anziani, ma in particolare di donne anziane sole. La solidarietà familiare è palesemente inadeguata nel far fronte alla condizione di povertà, così come in quella di grave dipendenza fisica nell’età più avanzata, che richiedono un intervento di sostegno da parte della collettività. Nel campo delle politiche sociali una prospettiva più recente tende a promuovere l’inserimento sociale degli anziani e a considerarli come una risorsa economica e sociale. Si osserva che i tipi di intervento finora attuati n molti Paesi europei hanno di fatto ampliato i problemi della terza e quarta età, contribuendo a farle diventare fasi di dipendenza, di cui la società deve farsi carico, pagando costi o oneri. A tale scopo si propongono interventi finalizzati sia al protrarsi della vita lavorativa, sia allo svolgimento di attività socialmente utili dopo la pensione, che avrebbero come effetto un prolungamento complessivo dell’autosufficienza personale , con relativa riduzione di costi sociali. L’interruzione brusca del lavoro provocata dal pensionamento ha effetti meno negativi sia sulle donne che sugli uomini. Nell’età anziana emergono per le donne dei vantaggi in campo affettivo: il  loro maggiore orientamento ala famiglia le mette in grado più degli uomini di mantenere e rinsaldare la rete dei rapporti familiari e dei legami della solidarietà inter - generazionale. Di fronte alle carenze dei servizi per l’infanzia, ad esempio, le donne anziane, spesso autosufficienti autonome, svolgono un ruolo di fondamentale importanza nella cura dei nipoti e nel sostegno dell’attività lavorativa dei loro figli.


fonte: http://www.larapedia.com/

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