ANZIANI IN FAMIGLIA E FAMIGLIA DI ANZIANI
2.2.1: ANZIANI CHI SONO
Gli anziani rappresentano il 21% della popolazione secondo una
statistica del 94 e confermata negli anni successivi (fonte ISTAT).
L’età di un individuo dipende da fattori biologici ma anche sociali e
psicologici, ad esempio eventi di perdita o nel primo caso patologie,
determinano un invecchiamento precoce. Quindi dato che l’età anagrafica
spesso non coincide con l’età psicologica è difficile dare un
definizione di anziano ma gerontologi e geriatri concordano nel
definire una persona anziana colei della quale, in base ai fattori
sopracitati si può supporre che abbia davanti a sé 10 anni di speranza
di vita.
Altre correnti di pensiero affermano che l’età senile inizi a 65 anni
e si distingua in due fasi: la prima “anziana” ( dai 65 ai 75 anni ) la
seconda “vecchia” ( dai 75 anni in poi ).
Parte dei sociologi di oggi considerano la vecchiaia una “invenzione
sociale”; il pensionamento comporta una perdita di potere e di
prestigio e sena l’inizio dell’età anziana; chi non è più giovane
rischia di diventare socialmente invisibile e di essere vittima di
pregiudizi e stereotipi spesso infondati. La popolazione anziana è
eterogenea e si divide in due fasi: la terza età in cui rientrano
prevalentemente anziani autonomi, attivi e in buone condizioni di
salute e inizia intorno ai 60-65 anni, si tende a dare di tale età
un’immagine positiva, il demografo Peter Laslett la considera “il
coronamento della vita”, perché le persone, libere ormai da impegni
familiari e lavorativi, ma ancora vigoroso sul piano fisico, possono
dedicarsi alla realizzazione personale. Segue la quarta età, che segna
generalmente l’inizio del decadimento fisico: in essa rientrano i
vecchi e i molto vecchi spesso in precario o cattivo stato di salute o
addirittura in condizioni di dipendenza parziale o totale dagli altri
(inizia intorno ai 75-80 anni).
L’Italia, la Germania e il Giappone sono i Paesi dell’area occidentale a più intenso e rapido invecchiamento.
ANZIANI A PIACENZA
Nel territorio piacentino, confrontando statistiche dell’81 con
quelle più aggiornate del 96 si nota un cambiamento della percentuale di
popolazione rispetto alle fasce d’età. In particolare si rileva un
aumento degli anziani, la situazione è la stessa sia nel capoluogo che
nei Comuni della provincia in pianura e in collina. Nelle zone di
montagna, invece, la situazione è leggermente differente perché la
classe anziana è aumentata conseguentemente all’allungamento della
vita e alla usuale scarsità della classe giovane.
2.2.2: DOVE VIVONO
DISTRIBUZIONE TERRITORIALE
In Italia notiamo una maggior percentuale di anziani al Centro - Nord
rispetto al mezzogiorno. Dai dati ISTAT del 96 si rileva che la
Campania è la regione con la popolazione più giovane, mentre Liguria ed
Emilia Romagna con quella più vecchia. Si evidenziano differenze tra
gli anziani che vivono nei grandi centri e quelli che abitano nei
piccoli: per i primi c’è il vantaggio di una maggior offerta di servizi
da parte del Comune e degli Enti, ma svantaggi per quanto riguarda le
condizioni ambientali non adeguate o alle spese maggiori necessarie per
vivere; i secondi invece possono usufruire di minori servizi ma godono
di una maggior tranquillità e di migliori condizioni ambientali. In
base ai dati del censimento del 91 gli anziani ultra sessantacinquenni
sono il 15% della popolazione, ma la loro quota varia da zona a zona:
il maggior invecchiamento si ha nel centro e nel nord. E’ in aumento il
numero degli ultra sessantacinquenni che vivono soli, sono più numerosi
in Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia, ma anche in alcune
zone del sud. Queste differenze probabilmente si spiegano col fatto che
nelle regioni del sud l’emigrazione ha allontanato i figli dai
genitori, rimasti soli, mentre in quelle del centro la famiglia estesa,
in cui convivono tre generazioni è più diffusa che altrove. Ampie
differenze si ritrovano anche nelle grandi città, fra centri storici
(più vecchi) e periferie (più giovani).
LA REALTA’ NEL PIACENTINO
Il numero egli anziani che vivono da soli aumenta col crescere
dell’età, di conseguenza quelli che vivono in famiglia diminuiscono.
Infatti dagli 80 anni in avanti un anziano su due non vive più con la
famiglia, ma da solo o in istituto. Nel capoluogo il numero maggiore di
anziani vive nelle circoscrizioni 1 e 3, infatti nel centro storico si
trova il maggior numero di anziani che vivono da soli. Nella 2 e 4,
anche se con tipologie familiari simili, il numero di anziani è
inferiore.
Circoscrizione cittadina 1 v. Taverna
“ “ 2 v. Trebbia
“ “ 3 v. M. della Resistenza
“ “ 4 Centro Civico Farnesiana
ANZIANI IN FAMIGLIA E FAMIGLIE DI ANZIANI
Il benessere degli anziani è legato al contesto familiare, poiché la
famiglia rappresenta il contesto entro il quale essi possono continuare
ad esercitare un ruolo attivo, ricevendo sostegno, aiuto ed
assistenza. E’ in famiglia che l’anziano passa la maggior parte delle
giornate, visto il ridursi della mobilità in relazione all’aumentare
dell’età. Gli uomini preferiscono vivere in coppia, mentre le donne, se
non hanno qualche figlio che si ferma nella famiglia d’origine, vivono
sole, per poi entrare a far parte, in alcuni casi, della famiglia del
figlio. All’aumentare dell’età, per effetto della vedovanza, aumenta il
numero di coloro che si trovano sole, mentre diminuisce il numero di
coloro che vivono in coppia. Ciò è particolarmente evidente per la
donna che ha statisticamente sette anni di speranza di vita in più
rispetto all’uomo e del quale è generalmente più giovane. Con l’età
cresce anche la quota dei membri aggregati, ovvero le persone che
vivono insieme a una o più nuclei familiari, senza farne parte (anziano
nella famiglia del figlio). L’aumento è evidente per gli ultra
settantacinquenni, quando diminuisce l’autosufficienza. Poco più di un
terzo delle donne fino a 74 anni vive ancora la fase del “nido vuoto”,
cioè l’uscita dei figli dalla famiglia, mentre, a partire dai 75 anni,
quasi la metà vive sola. Diversamente, gli uomini fino ai 64 anni
vivono con moglie e figli, dai 65 ai 74 in coppia senza figli e vi
permangono anche dopo i 75, è chiaro quindi che per gli uomini è meno
probabile vivere una fase della vita da soli. La funzione parentale
nell’età anziana si inverte: i genitori devono sopportare di dipendere
dai propri figli e i figli di età matura di farsi carico dei genitori
che perdono sempre più rapidamente la propria autonomia. Questa è una
situazione che nella realtà coglie di sorpresa tutte le famiglie,
infatti nessuno sa quando e come si instaurerà il rapporto di
dipendenza. L’invecchiamento generale della popolazione rende sempre
più frequente questo stato di dipendenza relativo o totale. I figli
maschi riescono ad organizzarsi meglio e a trovare aiuti complementari,
mentre le figlie si colpevolizzano e si preoccupano maggiormente di
assistere personalmente i genitori e in particolare la madre: fra madre
e figlia la dipendenza affettiva rafforza le richieste materiali. I
genitori cominciano a invecchiare quando cessano di essere una risorsa
per le difficoltà dei figli; questo stato di dipendenza è
irreversibile: diviene ogni giorno più forte e implica crisi sorde o
manifeste. L’età a cui un anziano perde la propria autonomia varia da
una persona all’altra: la memoria si affievolisce, i problemi
finanziari e amministrativi diventano più complessi, la mobilità
rallenta, gli interessi diminuiscono. Questa perdita dei mezzi che
consentivano una vita adulta e responsabile è accompagnata da paura,
angoscia e da una richiesta affettiva profonda in cui si associano il
desiderio di rimanere padroni in casa propria e l’esigenza quasi
infantile di presenza e di protezione. La crisi, che può essere il
prodotto di un graduale processo o improvvisa accompagnata o meno da
cambiamenti sia nell’anziano che nei figli, si manifesta sempre come
una frattura e costringe la famiglia a riorganizzarsi. Lo stesso tipo
di evoluzione imprevedibile che si nota nel periodo dell’adolescenza
dei figli si riscontra anche nei periodi di invecchiamento rapido e
rende inevitabile una modificazione dell’organizzazione familiare.
L’unità familiare è quindi vissuta nella lotta, nella lacerazione, nel
senso di incomprensione reciproca; il motto potrebbe essere:“ l’unione è
una lotta”. Le famiglie di quattro o cinque generazioni hanno la
fortuna di vivere rapporti fruttuosi tra le generazioni; condividono
esperienze, affetto e sviluppano un’identità familiare forte e stabile.
Il gruppo familiare è considerato una risorsa in grado di
controbilanciare l’aumento delle spese sanitarie e la gestione delle
malattie croniche. Oltre a un milione di famiglie hanno un anziano
bisognoso di una precisa assistenza per le attività della vita
corrente; cinque milioni di persone si occupano in permanenza di un
genitore anziano. In una famiglia c’è generalmente una persona che si
incarica dell’assistenza, aiutata o meno da altre. Un paziente è per lo
più assistito dalla moglie, mentre una paziente è curata dalla figlia o
dalla nuora. Le donne continuano a imporsi questo ruolo di assistenza
nella propria famiglia, un gran numero di loro deve riuscire a
integrare il proprio lavoro con questo impegno supplementare. Per
l’assistenza che esige la malattia cronica crea un legame fortissimo
tra il paziente e la persona che se ne occupa. Il terapeuta deve essere
consapevole di questa possibilità di rapporto e del suo impatto sugli
altri componenti della famiglia. Bisogna esaminare l’organizzazione
familiare per capire se sono necessari dei cambiamenti che
permetteranno di aumentare elasticità familiare per evitare la
restrizione dei ruoli o semplificare i compiti. Si devono analizzare le
aspettative dei membri della famiglia, perché certe donne hanno
bisogno di modificare la propria visione della responsabilità: ampliare
tale visione consentirà di includere altre persone nella gestione
dell’assistenza.
BISOGNI DELL’ANZIANO E DELLA SUA FAMIGLIA A PIACENZA
Secondo un’analisi svolta sul territorio piacentino, si è rilevato
che i bisogni principali degli anziani e dei caregivers sono
riconducibili a diversi filoni, ad esempio sostegni economici per
coprire le spese. In secondo luogo è presente il bisogno relativo
all’assistenza; altrettanto frequenti sono le risposte relative al
bisogno di compagnia, dialogo, amicizia, rispetto. Anche i caregivers
denunciano carenze nell’aspetto assistenziale, nel senso del sostegno
di strutture pubbliche, in particolare nei casi di emergenza;
sottolineano inoltre il bisogno di compagnia, alcuni ricordano la
necessità di aiuto materiali, anche per l’acquisto di medicinali. Di
conseguenza i caregivers hanno la necessità di avere più libertà, avere
alcune ore libere o momenti per riposarsi, poiché l’assistenza è
pesante, sia a livello fisico che psicologico, ciò è supportato dal
livello di stress medio - alto riscontrato nei caregivers. Gli anziani
ritengono di essere utili alla loro famiglia, alle persone che sono
loro vicine e alla società “aiutando gli altri, dando consigli,
ascoltando, assistendo altre persone e facendo compagnia, nella cura
dei bambini”; infine è stato osservato che gli anziani possono essere
utili “finché stanno bene”. Una buona parte del campione svolge qualche
piccola attività di aiuto o gestione del proprio quotidiano, ad esempio
piccoli lavori domestici e di cucina, soltanto una minoranza svolge
attività di volontariato. Gli anziani nominano tra le persone che gli
aiutano per le loro necessità in primo luogo le figure familiari,
quindi i figli conviventi e non, poi i nipoti, parenti e il coniuge;
solo una piccola parte cita anche l’assistente domiciliare e un aiuto a
pagamento.
VALORIZZAZIONE DELLA CASA E DELLA FAMIGLIA
Con il tempo un anziano accumula sentimenti, sclerotizza i rapporti,
cristallizza le abitudini e non riesce più a gestire positivamente il
rapporto con la famiglia, che dà le regole di un legame non più alla
pari. Non bisogna colpevolizzare le famiglie che sopportano il peso, in
particolare di un anziano non autosufficiente, che dovrebbe essere più
sostenuta dai servizi pubblici. Si richiede, quindi, un concreto
impegno di solidarietà, che dovrebbe iniziare all’interno della famiglia
stessa: essa si qualifica come comunità di lavoro e di solidarietà.
Può accadere in molti casi che quando la famiglia decide di affrontare
il problema, si può trovare priva dell’appoggio necessario da parte dei
Servizi ed Enti pubblici. Sia i familiari rimasti vicino all’anziano,
che quelli scomparsi o lontani sono presenti nella sua vita e la
influenzano in modo profondo.
FAVORIRE LA FAMIGLIA, I CENTRI DIURNI E LE PICCOLE RESIDENZE
La famiglia deve essere intesa come ambito affettivo relazionale e
non ridotta ai soli rapporti giuridici tra parenti. In questo periodo
sono di grande rilievo anche le esperienze di convivenza, che
ricostruiscono anche il rapporto familiare anche tra persone anziane e
giovani che non si erano conosciute prima: questa famiglia è ricca di
relazioni affettive dotate di senso. La scelta di proporre soluzioni di
sostegno o di sostituzione alla famiglia nell’assistenza, per esempio
centri diurni e piccole case alloggio, cerca di salvaguardare i
desideri e i bisogni della famiglia. Il rifiuto di un ricovero in
istituto nasce spesso dalla convinzione che sia impossibile aver cura
dell’anziano in un ambiente inadatto, infatti questa scelta tende a
custodire più che a curare. In qualsiasi soluzione la famiglia intera
deve essere coinvolta; è sempre più frequente il caso di figli che
scelgono di partecipare alla cura e all’assistenza dei genitori, si
realizzano nuove esperienze di famiglie composte da persone giovani e
anziane che condividono la loro casa. Sono comunque da incoraggiare
tutte le forme di sostegno alle famiglie che scelgono di occuparsi
direttamente dell’anziano in difficoltà.
RISCHI DELL’ISTITUTO
Qualche tempo fa assicurare all’anziano un futuro in istituto era
considerato atto di solidarietà, mentre oggi per molti non è così:
l’istituto riduce, anziché allargare, le speranze di vita. Si deve far
di tutto per curare a casa, infatti si è notato che all’interno degli
istituti è presente il fenomeno di morti premature; soprattutto quando
il trasferimento è attuato senza la volontà e la consapevolezza
dell’anziano, gli esiti possono essere molto pesanti. Il cambiamento di
domicilio si accompagna all’abbandono definitivo della propria casa:
ciò comporta la rottura di legami affettivamente significativi.
Cambiare la residenza contro la propria volontà rappresenta un rischio
di primaria importanza per la salute dell’anziano.
FAMIGLIE DI ANZIANI
Il processo di invecchiamento ha prodotto un incremento delle
famiglie composte d soli anziani, ciò determina la cosi detta
segregazione generazionale, ovvero la tendenza a chiudersi in sé stessi
e/o a limitare a limitare i contatti con persone di altre generazioni.
L’incidenza delle famiglie uni personali è via via più alta al
crescere dell’età anziana. Le famiglie di anziani sono più presenti
nell’Italia Nord - Occidentale e meno nelle isole. Nelle famiglie senza
anziani dominano le coppie con figli, nelle famiglie anziane
predominano gli anziani soli.
ANZIANO DA SOLO
Secondo i dati ISTAT del 94 gli ultra sessantacinquenni soli sono in
complesso circa 2.500.000, gli uomini sono intorno al mezzo milione, le
donne circa 2.000.000. Gran parte degli uomini di 60 anni e oltre vive
insieme alla moglie la fase conclusiva della propria vita; la quota di
coloro che vivono soli cresce progressivamente con l’età. Per le
donne la condizione di solitudine è più precoce e più diffusa; sia per
gli uomini che per le donne, ma in misura molto maggiore per queste
ultime, l’approssimarsi della quarta età coincide con il periodo della
vita in cui è più probabile vivere da soli. Quando l’autonomia si
riduce o vien meno, aumenta per gli uni e per le altre la probabilità
di andare a vivere con la famiglia dei figli. Gli squilibri nella
durata della vita tra uomini e donne espongono queste ultime a vivere
più frequentemente esperienze dolorose e difficili, quali il lutto e la
solitudine nella fase finale della vita. Tuttavia anche a tarda età la
propensione per una vita indipendente è ancora forte: gli anziani soli
hanno uno stato di salute migliore e in grado di autonomia superiore
rispetto a quelli che vivono con i figli o con altri parenti. Questo
significa che solo quando si verifica un serio deterioramento delle
condizioni fisiche e psichiche la vita da soli viene sostituita dalla
convivenza con altri familiari. La crescente propensione degli anziani a
vivere soli si spiega in parte con il miglioramento del tenore di vita
connesso alo sviluppo delle politiche di sicurezza sociale, ma anche
con un cambiamento culturale che incoraggia l’indipendenza e la
conservazione della privacy degli anziani. E’ stata sottolineata la
centralità delle relazioni familiari nella vita degli anziani: con
l’avanzare degli anni un numero sempre più elevato di persone sole
risiede vicino ai figli o nello stesso caseggiato. Più vicino abitano
figli, parenti e amici, più frequenti sono le loro visite. Gli anziani
soli ricevono aiuti in misura maggiore rispetto agli anziani che
convivono con altri. Vi è però una reciprocità dello scambio tra le
generazioni: fino alla soglia della quarta età, aiuti dati e ricevuti
si bilanciano; poi, con l’avanzare dell’età, naturalmente quelli
ricevuti prevalgono su quelli dati. L’aiuto e il sostegno dei familiari
sono probabilmente, per molti anziani, nella quarta età, una
condizione necessaria per poter continuare a vivere da soli. Secondo
un’indagine del 93, tra i Paesi della CEE, l’Italia è quello in cui gli
anziani soli hanno rapporti più frequenti con i familiari: il 71% di
essi ha contatti quotidiani. La solidarietà familiare, materiale e non, è
molto più sviluppata in Italia e negli altri Paesi mediterranei.
Questa situazione presenta per gli anziani vantaggi e limiti: una
presumibile maggior dose di calore umano e di affettività nelle
relazioni sociali e di sostegno, che copre però serie carenze degli
interventi pubblici, con il risultato che, quando la solidarietà
familiare viene meno o non è in grado di far fronte a gravi bisogni, il
rischio di povertà diventa concreto per un certo numero di anziani, ma
in particolare di donne anziane sole. La solidarietà familiare è
palesemente inadeguata nel far fronte alla condizione di povertà, così
come in quella di grave dipendenza fisica nell’età più avanzata, che
richiedono un intervento di sostegno da parte della collettività. Nel
campo delle politiche sociali una prospettiva più recente tende a
promuovere l’inserimento sociale degli anziani e a considerarli come
una risorsa economica e sociale. Si osserva che i tipi di intervento
finora attuati n molti Paesi europei hanno di fatto ampliato i problemi
della terza e quarta età, contribuendo a farle diventare fasi di
dipendenza, di cui la società deve farsi carico, pagando costi o oneri. A
tale scopo si propongono interventi finalizzati sia al protrarsi della
vita lavorativa, sia allo svolgimento di attività socialmente utili
dopo la pensione, che avrebbero come effetto un prolungamento
complessivo dell’autosufficienza personale , con relativa riduzione di
costi sociali. L’interruzione brusca del lavoro provocata dal
pensionamento ha effetti meno negativi sia sulle donne che sugli
uomini. Nell’età anziana emergono per le donne dei vantaggi in campo
affettivo: il loro maggiore orientamento ala famiglia le mette in
grado più degli uomini di mantenere e rinsaldare la rete dei rapporti
familiari e dei legami della solidarietà inter - generazionale. Di
fronte alle carenze dei servizi per l’infanzia, ad esempio, le donne
anziane, spesso autosufficienti autonome, svolgono un ruolo di
fondamentale importanza nella cura dei nipoti e nel sostegno
dell’attività lavorativa dei loro figli.
fonte: http://www.larapedia.com/
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