È fondamentale che il bambino impari prima possibile a dormire nel proprio letto, sviluppando progressivamente l’autonomia
Moltissime
coppie si trovano a dover affrontare ciò che può sembrare
«inaffrontabile»: i risvegli frequenti e la difficoltà di
addormentamento del proprio bambino nei primi tre anni di vita. «Si
tratta di insonnia a tutti gli effetti - spiega Paola Proserpio,
neurologa al Centro di Medicina del Sonno dell’Ospedale Niguarda di
Milano -, che però nel bambino ha caratteristiche diverse rispetto a
quella dell’adulto: il primo non vuole dormire e si sforza di stare
sveglio, il secondo vorrebbe dormire ma non ci riesce». Nei primi 3 anni
di vita, il 20-30% dei bambini presenta dei disturbi del sonno:
percentuale che scende al 15% dopo i 3 anni. I più «a rischio» sembrano
essere i primogeniti o figli unici, quelli allattati al seno e quelli
che dormono nel lettone. «Raramente le cause sono organiche - continua
Proserpio -, per la maggior parte (più dell’80%) l’insonnia dipende da
fattori psico-fisiologici, principalmente legati all’organizzazione
della giornata, alla molteplicità di stimoli che si trovano intorno e
alle abitudini date dai genitori (98%). Esistono anche le questioni
organiche, le più frequenti sono: reflusso, disturbi dell’orecchio,
asma, dermatite atopica».
L’importanza della routine serale
Di
norma, il piccolo vede mamma e papà solo nelle ore serali, una volta
finita la giornata di lavoro, e quindi vorrebbe prolungare il più
possibile il tempo trascorso con loro, sforzandosi di non addormentarsi.
Inoltre i bambini, fin da piccolissimi, sono sottoposti a tanti
stimoli: giochi sonori e luminosi, televisione, pc, tablet, videogiochi.
«È bene creare una routine per le ore serali - spiega Paola Proserpio
-, in un ambiente sereno e tranquillo in cui gli stimoli vengono man
mano diminuiti. Si può leggere un libro, cantare una ninna-nanna:
l’importante è che il bambino riconosca l’esistenza di un’abitudine
anche nell’andare a letto, sempre alla stessa ora e magari con uno o più
oggetti (peluche, ciuccio) riservati al momento della nanna». È
fondamentale che il bambino impari prima possibile - a partire dai 6
mesi - a dormire nel proprio letto, sviluppando progressivamente
l’autonomia e la capacità di addormentarsi da solo anche in caso di
risveglio notturno.
Cosa fare, cosa evitare
Ma
se questo non avviene? «Cominciamo a dire che cosa è bene non fare -
chiarisce Proserpio -: far addormentare il bambino in braccio, nel
lettone, nel passeggino, in auto o in qualunque posto che non sia il suo
letto; abituarlo a un contatto con la madre durante l’addormentamento
(es. la mano); dare il biberon o allattarlo mentre prende sonno; farlo
stancare perché dorma di più. Vediamo invece che cosa si può fare: oltre
al suddetto rituale serale, il genitore deve stare col bambino finché è
tranquillo, magari dire sempre la stessa frase (es. «Fai dei bei
sogni») e poi lasciare la stanza, spiegando al bambino dove va e
perché. Se il bambino piange si può aspettare qualche secondo prima di
tornare a tranquillizzarlo, sempre lasciandolo nel suo letto. Le qualità
richieste ai genitori in questo processo sono: sicurezza, tranquillità,
disponibilità a insegnare, ripetitività dei gesti». È importante, come
detto, che il bambino dorma nella sua camera, assieme ai suoi giochi e
alle sue cose: se è necessario correggere l’insonnia un buon punto di
partenza può essere quello di creare o ricreare lo spazio del piccolo,
sottolineando l’importanza di questo passaggio in relazione alla sua
autonomia e al suo benessere.
Il metodo «Fate la nanna»
Su
come «rieducare al dormire» ci sono tante teorie, ma una in particolare
ha fatto (e fa) molto discutere specialisti e genitori. Si tratta di
quella proposta nel libro «Fate la nanna» (pubblicato in Italia nel
1999) del medico spagnolo Eduard Estivill, specializzato in pediatria e
in neurofisiologia clinica, direttore della Clinica del Sueño di
Barcellona. Un manuale che spiega, si legge in copertina, «il semplice
metodo che vi insegna a risolvere per sempre l’insonnia del vostro
bambino», detto anche metodo dell’estinzione graduale. Si tratta in
pratica di mettere il bambino a letto, lasciarlo solo nella stanza e
farlo eventualmente piangere per periodi di tempo controllati prima di
rientrare, aumentando gradualmente l’attesa. Un metodo in parte rivisto
dallo stesso Estivill, che in un’intervista al Pais del settembre 2012 ha chiarito che «le regole spiegate in Fate la nanna
valevano per i bambini a partire dai tre anni che soffrivano della
cosiddetta insonnia infantile per abitudini scorrette. Tali norme non
possono essere applicate con i bambini più piccoli a causa
dell’immaturità del loro orologio biologico».
Uno spazio tutto per me
«Lasciar
piangere il proprio bambino va contro l’istinto genitoriale - commenta
Proserpio -, quindi è difficile riuscire a mettere in atto questo
metodo. Però riteniamo valida la prima parte del libro, che riguarda le
già citate buone abitudini per l’addormentamento e l’importanza di
dormire ognuno nel proprio spazio. Il bambino deve essere abituato a
dormire fin da piccolo nel suo letto, e possibilmente nella sua stanza,
perché altrimenti si crea un’abitudine che è difficile correggere quando
sarà più grande. Va detto che esistono anche teorie favorevoli al
dormire tutti insieme nel lettone (co-sleeping),
una pratica che favorirebbe in particolare il rapporto madre-figlio. Ma
che secondo altri potrebbe ostacolare il raggiungimento dell’autonomia
del bambino nel gestire il proprio sonno, oltre che ovviamente ridurre
l’intimità tra i genitori». Un momento critico, anche se il bambino è
abituato a dormire senza problemi, può presentarsi intorno ai 9 mesi di
età, quando il piccolo prende sempre più coscienza della realtà che lo
circonda e aumentano i risvegli notturni, anche a causa di sogni e
incubi, che iniziano a strutturarsi proprio in quel periodo. È
importante che il genitore continui a trasmettere sicurezza, senza farsi
prendere dall’ansia, perché i bambini vivono continuamente il riflesso
di ciò che «leggono» nei propri genitori (e i bambini in questo sono
straordinari): se percepiscono stanchezza, insicurezza, paura, saranno a
loro volta portati a vivere le stesse emozioni e dunque a dormire
ancora peggio. «Esistono due tipologie di bambini, gli autoconsolatori e
i segnalatori - aggiunge Proserpio -: i primi sono in grado di
riaddormentarsi da soli (a un anno di età sono il 60-70% del totale),
gli altri “segnalano” molto esplicitamente il proprio disagio e hanno
bisogno di rassicurazioni frequenti. Anche in questo caso la differenza
dipende per lo più dalle abitudini date dai genitori».
Manifestazioni di disagio emotivo
Secondo Cristiana De Ranieri,
psicologa clinica all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, il
disturbo nel dormire è spesso provocato da stati di ansietà, dovuti per
esempio alla sempre maggiore consapevolezza di se stessi o della
relazione esistente fra i genitori. «Per disturbo nel sonno – spiega De
Ranieri - si intende generalmente una difficoltà a godere di un riposo
notturno sufficientemente lungo, naturalmente in relazione all’età del
bambino. Questo genere di disturbi può riguardare la difficoltà ad
addormentarsi, i risvegli frequenti, la faticosa ripresa del sonno, a
volte con la presenza, ma non sempre, di manifestazioni di disagio
emotivo: pianto, agitazione, inconsolabilità». Dormire agitati può anche
essere solo un segno di eccitazione per le conquiste del giorno appena
trascorso. Durante il primo anno di vita i neonati dormono molto, ma ben
presto riescono a stare svegli per periodi più lunghi. Anche gli stati
di ansia del secondo anno di vita, che provocano in molti bambini incubi
e paure, sono segnali del processo di maturazione mentale e della
immaginazione creativa e sono legati spesso ai primi distacchi. Intorno
al terzo anno i bambini chiamano spesso i genitori dopo essere stati
messi a letto o si lamentano per la paura del buio: è una fase normale
nello sviluppo infantile e può essere legata alla consapevolezza della
progressiva autonomia rispetto ai genitori. «Criticità che possono
essere superate seguendo determinati accorgimenti. I genitori – spiega
la dottoressa De Ranieri - possono accompagnare l’evoluzione del sonno
del bambino contenendone i lati emotivamente più forti: bisogna essere
elastici, ma al tempo stesso mantenere anche posizioni ferme. Come per
gli altri comportamenti, infatti, fornire un confine e dare una
regolarità alle abitudini rispetto al sonno aiuta il bambino a sentirsi
contenuto e dà continuità alle sue esperienze: tanto nel corso della
giornata quanto durante la notte. Qualora una difficoltà nella sfera
dell’addormentamento dovesse assumere dimensioni incontrollabili potrà
essere utile consultare uno psicologo dell’età evolutiva».
Melatonina o triptofano in casi selezionati
Quali le eventuali terapie per i disturbi del sonno nei piccoli? È recente lo scandalo del Nopron,
uno sciroppo antistaminico (in realtà il suo principio attivo, la
niaprazina, ha proprietà sedativo-ipnotiche) spesso consigliato per i
bambini insonni fino al gennaio 2012, quando è stato ritirato dal
commercio dopo la sospensione delle autorizzazioni ai Laboratoires
Genopharm (Francia) e all’officina di produzione Alkopharm Blois.
«L’uso di una terapia farmacologica in caso di insonnia pediatrica è
estremamente dibattuto - chiarisce Proserpio -. In qualsiasi caso il
primo approccio consiste nel modificare le abitudini e il rituale
dell’addormentamento. Solo in casi molto selezionati si può ricorrere
all’uso di sostanze come la melatonina o il triptofano
(neurotrasmettitore precursore della melatonina), da associare sempre a
terapie comportamentali. Consideriamo inoltre che un bambino che non
dorme a sufficienza, magari perché si addormenta tardi alla sera e poi
si deve svegliare presto per andare all’asilo, può subire una
deprivazione di sonno, con sonnolenza diurna e performance cognitive
ridotte». Uno studio recente, pubblicato sul Journal of Epidemiology and Community Health,
ha evidenziato come la mancanza di una precisa routine serale abbia
influito negativamente sullo sviluppo cerebrale e sulle prestazioni dei
bambini.
Si cresce: bambini e ragazzi
«Solitamente
il periodo più felice per i bambini tendenzialmente insonni è quello
delle elementari, ma alle medie e alle superiori il ragazzino torna a
vivere una deprivazione di sonno - spiega Proserpio -, in concomitanza
con i nuovi impegni, i nuovi interessi, il desiderio di stare alzati
fino a tardi alla sera. In molti casi gli adolescenti tornano al
pisolino pomeridiano della prima infanzia. Questo può comportare dei
problemi, perché si sfasa il ritmo di sonno/veglia e nei casi più gravi
il soggetto non riesce più ad addormentarsi prima della notte fonda: si
chiama disturbo da posticipazione di fase, o circadiano.
Anche in questi casi proponiamo il trattamento con melatonina e una
revisione delle regole comportamentali, che spesso risulta molto
faticosa: l’obiettivo è risistemare orologio biologico. Nella pratica,
si può proporre ai pazienti di anticipare il momento di andare a letto
di un quarto d’ora orni 3-4 giorni, fino a tornare a un orario normale».